31/05/2011
Svolgere attività fisica moderata, con un impegno di 30 minuti per 4-5 volte alla settimana, riduce del 25 per cento il rischio di incorrere in un altro evento cardiaco. Eppure, dopo un infarto, in pochi migliorano lo stile di vita: il 60 per cento dei pazienti non fa esercizio fisico, il 75 per cento mangia pesce al massimo una volta alla settimana, il 25 per cento non ha un adeguato apporto di frutta e verdura dalla dieta. E tutto questo inevitabilmente li mette in una condizione di rischio: non a caso il 70 per cento di chi ha avuto un infarto deve nuovamente essere ricoverato in ospedale entro un anno dall'evento. Sono questi i dati dello studio Icaros presentati al recente Congresso ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri). Si riconferma, quindi, ancora una volta, il ruolo determinante dell'attività fisica per la riabilitazione cardiologica e l'importanza di una modifica dello stile di vita.
Ma come avviene in pratica la riabilitazione? Stefano Aglieri, cardiologo: «Se il paziente è a rischio rimane in ospedale dove viene già impostato un programma riabilitativo che comprende anche il movimento. Se, invece, non è un paziente complicato, viene dimesso e deve seguire un programma ambulatoriale o domiciliare. Siamo nel campo della prevenzione secondaria, quindi, in seguito a un evento cardiovascolare. In questo caso i famosi 10.000 passi ogni giorno, che hanno benefici notevoli per la prevenzione primaria, non sono sufficienti. Serve un programma strutturato di tipo aerobico che sia di intensità ottimale (nè eccessiva, né ridotta), allenante per l'apparto cardiovascolare, per almeno 3-4-5 volte alla settimana. Ed è importante la continuità. Gli effetti benefici si ottengono dopo 15-20 giorni di allenamento, ma si esauriscono brevemente se non si è costanti nel tempo».
«Dopo la dimissione dall'ospedale, purtroppo, l'aderenza alla terapia in generale è ancora troppo bassa. Non si tratta solo dell'esercizio fisico, ma di una modifica allo stile di vita che manca in un po' troppi pazienti. E alcuni addirittura non assumono i farmaci. In questa situazione sta a noi riuscire a motivarli fin da quando sono ricoverati sull'importanza di proseguire al domicilio con un adeguato programma».
redazione 2c edizioni