Sull’etichetta manca l’indice glicemico

Non servirebbe solo ai diabetici, ma sarebbe utile anche per le persone sane, perché non tutto quello che sembra buono per la salute lo è

16/03/2012

Sulle etichette dei cibi italiani manca ancora un’informazione importante: l’indice glicemico (IG).  Indispensabile per i diabetici, la conoscenza di questo parametro è importante anche per le persone sane, perché consente di calibrare meglio le proprie scelte alimentari. Ne sono consapevoli alcuni Paesi come il Canada e l’Australia dove l’indicazione di “alimento a basso/alto indice glicemico” è presente da tempo sulle confezioni.  L’indice glicemico non è soltanto un numero: bisogna saperlo interpretare e dargli la giusta importanza, nell’ottica di scelte alimentari che tengano conto di tutte le caratteristiche dei cibi, compresi grassi e calorie. L’indice glicemico indica la capacità di un alimento di aumentare il valore della glicemia (la concentrazione degli zuccheri nel sangue) dopo il pasto. Più semplicemente è l’indicatore della velocità con cui gli zuccheri ingeriti arrivano nel sangue, come il contachilometri di un’automobile.


Se i carboidrati vengono assimilati e assorbiti velocemente, concorrendo a far crescere altrettanto rapidamente la glicemia, si parla di indice glicemici alto; se invece la risposta della glicemia all’introduzione di carboidrati è più lenta, si dice che quell’alimento ha un basso indice glicemico.  Mentre nel primo caso si verifica un brusco picco della glicemia, destinato ad esaurirsi a breve tempo, i cibi a basso indice glicemico inducono una risposta più graduale : gli zuccheri raggiungono il sangue in modo più lento e la risposta della glicemia dunque non assomiglia ad una punta, ma ad una curva dall’andamento dolce sia nella progressione sia nella discesa.

Il primo fattore che influenza l’indice glicemico è la qualità dei carboidrati contenuti nell’alimento: la pasta ha un indice glicemico più basso rispetto al riso, perché il processo di essiccazione riduce la digeribilità dell’amido presente nello strato esterno per esempio di spaghetti o maccheroni, rallentandone la digestione.  Ma è importante anche la quantità, perché lo stesso piatto determina un diverso aumento della glicemia a seconda della porzione che si consuma: più basso se questa è contenuta, più alto se la pietanza è abbondante. Bisogna tener conto sia di che cosa si mangia sia di quanto se ne mangia  per valutare il carico glicemico nella dieta: il carico glicemico  misura l’impatto complessivo degli alimenti sulla glicemia.  Ciò consente di fare scelte oculate a tavola perché, prendendo in considerazione sia la quantità sia la qualità dei carboidrati da consumare a pranzo o a cena, il carico glicemico suggerisce di mangiare dosi contenute di alimenti ad alto indice glicemico oppure porzioni  più generose dal potere iperglicemizzante minore, ottenendo sempre lo stesso risultato. La pasta per esempio ha un indice glicemico più basso del pane, perciò è concesso un  piatto più abbondante, mentre per gli amanti del pane, a parità di carico glicemico, devono accontentarsi di una porzione più piccola.

Oggi quasi sei milioni e mezzo di italiani rischiano di diventare diabetici, ma soltanto la metà ne è consapevole.  Secondo l’Istat la malattia colpisce il 5% della popolazione.  L’organizzazione mondiale della sanità ritiene che nel 2030 questo disordine metabolico diventerà la quarta causa di morte in Europa. Di qui l’obbligo di fare prevenzione. La Federazione mondiale del diabete ha deciso di raccogliere l’indice glicemico di tutti i principali alimenti e piatti delle diverse tradizioni alimentari in un prontuario, che oggi è disponibile anche in versione digitale, con un’applicazione scaricabile sul cellulare. Partendo sempre dall’informazione  di base che l’'indice glicemico (IG) rappresenta la capacità dei carboidrati contenuti negli alimenti di innalzare la glicemia per quantificare l'indice glicemico di un alimento è necessario assumerne 50 grammi e monitorare i livelli glicemici nelle due ore seguenti.  Tali valori andranno poi confrontati con quelli dello standard di riferimento che nella fattispecie è il glucosio o il pane bianco (indice glicemico=100).  Se un alimento ha indice glicemico pari a 60 significa che ingerendo 50 grammi di quel dato alimento la glicemia sale del 60% rispetto a quanto avviene con 50 grammi di glucosio. Quando si parla di indice glicemico è molto importante specificare anche il concetto di CARICO GLICEMICO. Questo parametro si ottiene rapportando l'indice glicemico di un certo alimento alla sua porzione media.  E' quindi sufficiente moltiplicare l'IG di un dato carboidrato (es.  fruttosio IG=20) per la quantità assunta (ad esempio 30 grammi). Nel caso specifico il carico glicemico del pasto è pari a 20 x 30= 600. Per non ingrassare e tenere sotto controllo glicemia e appetito la quantità di ciò che si mangia è dunque più importante dell'indice glicemico del singolo alimento.  Escludere dalla propria dieta alcuni cibi solo perché hanno un indice glicemico elevato non ha alcun senso, basta, semplicemente, avere un rapporto equilibrato con il cibo evitando gli eccessi.

Quando si parla di indice glicemico di un alimento è importante definire un range di valori che tenga conto di tutti quei parametri che possono influenzarlo in positivo o in negativo.  L'indice glicemico di un alimento varia, per esempio, con:
1) il suo grado di maturazione (aumenta se la frutta è ben matura) 
2) la varietà (le mele verdi "per diabetici" non hanno lo stesso IG delle rosse) 
3) la temperatura ed il tempo di cottura (aumenta con il calore) 
4) il formato della pasta 
5) le quantità di ingredienti utilizzati (soprattutto nel caso di prodotti industriali) Per tutti questi motivi ha poco senso proporre un valore medio che potrebbe trarre in inganno il consumatore portandolo a compiere scelte alimentari scorrette.

Consumando alimenti ad alto indice glicemico: 
1)     la glicemia sale di più e più in fretta 
2)      la risposta insulinica è più marcata 
3)     l'organismo si abitua ad utilizzare, preferenzialmente, gli zuccheri al posto dei grassi; anche la trasformazione dello zucchero in grassi tende ad aumentare (sovrappeso) 
4)     Lo stress ossidativo aumenta (invecchiamento precoce, rischio oncologico) 
5)     Dopo 2-4 ore la glicemia scende e torna la fame 
6)     Nel tempo si crea un sovraccarico di lavoro per il pancreas che causa inizialmente insulinoresistenza e successivamente la comparsa del diabete 
7)     Il rischio di carie dentaria è maggiore Per lo sportivo è importante evitare di assumere troppi alimenti ad alto indice glicemico prima della competizione o allenamento.  Il consumo di zuccheri semplici farebbe infatti aumentare rapidamente la glicemia stimolando una pronta secrezione di insulina con conseguente ipoglicemia secondaria, diminuzione dell'ossidazione dei grassi e possibile rapida deplezione delle scorte di glicogeno.  I carboidrati ad alto e moderato indice glicemico sono invece utili per favorire il recupero nel post allenamento. Alimenti a basso indice glicemico Gli alimenti a basso indice glicemico hanno un notevole effetto sul rischio cardiovascolare in quanto attenuano l'iperinsulinemia postprandiale e favoriscono un aumento del colesterolo buono (HDL). è interessante notare che l'indice glicemico degli alimenti non dipende soltanto dal tipo di carboidrati in esso contenuti.  Riso e patate, pur essendo ricchi di amido (polisaccaride) possiedono un indice glicemico superiore al fruttosio e a molti frutti zuccherini.  La fibra alimentare rallenta infatti il tempo di transito gastrico, con riduzione della velocità di assorbimento degli zuccheri assunti insieme alla fibra.  Un analogo discorso può essere fatto per i grassi (il latte scremato ha un indice glicemico superiore rispetto a quello intero) e in misura minore per le proteine. L'assunzione di alimenti a basso indice glicemico prima della competizione ha un effetto positivo sulla performance degli sportivi. 

Le considerazioni utili che si possono fare sull'indice glicemico 
1)     L'indice glicemico diminuisce se si aggiungono grassi ad un alimento.  Questo fenomeno è dovuto al fatto che la digestione dell'alimento al quale sono stati aggiunti i grassi è più lenta, e quindi i carboidrati che contiene vanno in circolo più lentamente.  Questo fatto si può verificare facilmente, basta confrontare (per esempio) il latte scremato e il latte intero.  Quindi a volte non è sempre vero che un alimento "light" sia migliore del corrispondente "normale", poichè potrebbe essere meno saziante (questo è particolarmente vero per lo yogurt).
2)     L'indice glicemico diminuisce se si aggiungono proteine ad un alimento, per lo stesso motivo del punto 1.
3)     Il rilascio totale di insulina non dipende dall'indice glicemico ma dal carico glicemico, ovvero dal prodotto tra indice glicemico e la quantità di carboidrati che contiene l'alimento, espressa in percentuale.

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