16/11/2011
In Italia la sopravvivenza dei malati di cancro continua ad aumentare. Se si considera l’insieme di tutti i tumori (esclusi quelli di vescica e cute), la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi dei malati oncologici è pari al 50% per gli uomini e al 60% per le donne. Un dato superiore alla media europea, che ci mette al pari dei Paesi scandinavi. Purtroppo non in tutto il Paese i dati sono così positivi: al Sud l’indice di sopravvivenza è di 4-10 punti percentuali più basso che al Centro-Nord.
È il quadro che emerge dal Rapporto Airtum (Associazione italiana registri tumori) 2011, che si basa sulle informazioni raccolte dai 31 Registri che fanno capo alla rete. Le analisi hanno riguardato oltre 1.490.000 casi di tumore diagnosticati tra il 1990 e il 2007, con aggiornamento dello stato in vita al 31 dicembre 2008.
In questi anni il periodo di sopravvivenza dei malati di cancro è aumentato del 14% per gli uomini e del 9% per le donne a 10 e 15 anni dalla diagnosi. «La sopravvivenza a 5 anni per i tumori di maggiore impatto sociale – spiega il rapporto – mostra che a fianco di neoplasie a buona prognosi permangono ancora tumori a prognosi infausta: la sopravvivenza è alta per alcune sedi tumorali quali tiroide (94%), mammella della donna (87%), prostata (89%), cervice uterina (61%) e colon-retto (58%); è inferiore al 50% per le leucemie (43%) e il tumore dello stomaco (29%); ed è al di sotto del 20% per fegato (14%) e polmone (13%)». Inoltre negli uomini la sopravvivenza a 5 anni è di circa 10 punti percentuali più bassa rispetto a quella delle donne e nella gran parte dei tumori maligni la sopravvivenza appare inversamente proporzionale all’età.
Diverse le cause del divario tra Nord e Sud: «Le sopravvivenze più basse rilevate al Sud – spiega Mario Fusco, direttore del Registro Tumori di popolazione della Campania – riguardano tumori diversi per prognosi e per disponibilità di interventi sanitari e tendono a persistere anche tra coloro che sono sopravvissuti al primo anno dopo la diagnosi e anche tra i malati che sopravvivono per più di 5 anni dalla data di diagnosi. Ciò significa che la più bassa sopravvivenza non è limitata ai casi con malattia intercettata in stadio più avanzato».
Sembra quindi che le criticità presenti all’interno dei sistemi sanitari delle Regioni meridionali non siano limitate alla fase diagnostica, ma siano presenti anche nelle successive fasi di gestione della malattia. «È possibile, dunque, che le differenze rilevate tra il Sud e le altre aree del Paese siano dovute a un ritardo diagnostico che determina la rilevazione della malattia in fase più avanzata e, quindi, con prognosi peggiore – sottolinea Fusco -, ma anche a disuguaglianze nell’accesso ai percorsi diagnostico-terapeutici, alla qualità dei servizi di diagnosi e cura erogati e a una ridotta introduzione di modelli di trattamento multidisciplinare».
E.D.R.