12/03/2012
Uno studio pubblicato sul prestigioso Journal of Autoimmunity apre nuove prospettive contro una malattia autoimmune, la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (APS), responsabile di trombosi e aborti ricorrenti. Nei pazienti affetti da questa malattia, sono presenti autoanticorpi prodotti per errore dal sistema immunitario che riconoscono e attaccano molecole normalmente ignorate dalle difese di una persona sana. Questi autoanticorpi attivano meccanismi che causano circa un terzo degli aborti ricorrenti in donne in cui non è possibile evidenziare altre cause note. Le terapie oggi disponibili consentono di portare la gravidanza a termine nell'80 per cento dei casi, ma nel restante 20 per cento non funzionano o non sono applicabili a causa di importanti effetti collaterali. Da qui l'influenza dello studio, che "sposta" la logica dell'orientamento terapeutico.
Uno degli autori è Massimo Locati, capo del Laboratorio di Biologia dei Leucociti all'Istituto Clinico Humanitas e docente dell'Università degli Studi di Milano: "Grazie allo studio abbiamo scoperto un aspetto della patogenesi di questa malattia che non conoscevamo. Sappiamo da tempo che nelle pazienti affette da APS gli autoanticorpi attivano processi infiammatori e, ritenendo che questo fosse il solo meccanismo alla base della malattia, abbiamo impostato sul suo controllo le strategie terapeutiche attualmente disponibili. Mediante analisi di tipo genomico questo studio ha, invece, dimostrato che la componente infiammatoria non è il solo processo coinvolto, ma che l'attivazione di alcuni recettori di membrana da parte degli autoanticorpi stessi è in grado di influenzare direttamente alcune molecole essenziali alla normale crescita del feto».
Questa scoperta che cosa suggerisce?
«Di porre al centro di possibili strategie innovative per il trattamento della malattia non il controllo dei meccanismi infiammatori, ma il blocco dell'attivazione di questi segnali. Proprio in questo senso lo studio offre un secondo importante contributo, in quanto ha portato alla identificazione di un peptide, un frammento di proteina analogo a parte della molecola bersaglio della risposta autoanticorpale, che è in grado di impedirne il riconoscimento da parte degli autoanticorpi stessi. Il blocco del riconoscimento previene l'attivazione dei recettori e l'induzione delle alterazioni placentari che interferiscono con la normale prosecuzione della gravidanza. In sostanza, si passa dal tentativo di controllare gli effetti infiammatori indotti dagli autoanticorpi a cercare di prevenirne del tutto la loro attività. In un certo senso abbiamo spostato la logica stessa dell'orientamento terapeutico dal trattamento dei sintomi ad una forma di prevenzione».
Quali reali prospettive terapeutiche apre?
«Il nostro studio ha dimostrato che il peptide è efficace nel ridurre il rischio di perdita fetale in un modello sperimentale. Questi risultati dovranno ora essere ulteriormente sviluppati prima che se ne possa eventualmente valutare l'applicazione all'uomo. Tuttavia, questa classe farmacologica è stata in passato frequentemente trasferita all'uomo con buoni risultati terapeutici e senza importanti effetti collaterali».
Michele Rosati