Le mummie dell'Appennino modenese

Ne sono state trovate in tutto sessanta ma dodici sono quelle in mostra fino al 14 ottobre esattamente là dove sono state per secoli, nella chiesa di Roccapelago.

06/09/2012

Mummificati quasi per caso, sono sopravvissuti a un terremoto nell'800 salvandosi grazie alle macerie che gli hanno fatto da scudo.
Forse le medagliette di sant'Emidio, protettore dai terremoti che alcuni avevano addosso, hanno fatto il resto. E sono sopravvissuti anche all'ultimo sisma che ha colpito l'Emilia a maggio, perché erano in Romagna tra le mani di antropologi e archeologi.

Un particolare di una mummia con le mani congiunte.
Un particolare di una mummia con le mani congiunte.

La lunga vita dei contadini e braccianti sepolti tra metà '500 e fine '700 nella cripta della chiesa di Roccapelago, sull'Appennino modenese, è appena cominciata. Sono una sessantina le mummie scoperte nel gennaio 2011 durante i lavori di restauro e 12 quelle in mostra fino al 14 ottobre esattamente là dove sono state per secoli. Senza teche né pannelli, per rispetto dei defunti.
E tutti scalzi e con camicie di lino o canapa rattoppate più volte, al massimo qualche merletto per le donne. Insomma niente sfarzi in vita, tanto meno di fronte a Dio. L'esposizione, curata da Giorgio Gruppioni e Donato Labate e promossa tra l'altro dalla Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia-Romagna, racconta vita e morte di una comunità di montagna.

Oltre alle mummie, nella fossa comune della cripta sono stati recuperati quasi 300 scheletri, anche di donne e bambini. Ma è proprio la presenza dei corpi mummificati a rendere eccezionale la scoperta. “E' un caso di mummificazione naturale come ce ne sono pochi in Italia – spiega Labate, archeologo della Soprintendenza regionale – dovuto al fatto che la cripta aveva una finestra da cui entrava aria a più di 1000 metri d'altitudine, e comunque esposta ai venti secchi”. Questo ha permesso ad alcuni corpi di conservarsi molto bene nei secoli, in particolare quelli di anziani che, avendo pochi liquidi, si decompongono meno velocemente.

Da qui una miniera di informazioni utilissime ad esempio per la medicina. Tra le donne era diffusa l'osteoporosi, forse per i tanti parti e i lunghi allattamenti e molti neonati morivano prima dei 12 mesi.
I più fortunati superavano i 50 anni. “Non si è mai avuto un campione così completo di popolazione antica da confrontare con quella attuale”, aggiunge Labate. E in effetti un confronto sul dna si farà tra Dina Manfredini, una donna di 115 anni originaria di Roccapelago e che vive negli Usa, e quello delle mummie di allora.
Scoperti anche circa 150 reperti tra medagliette votive, rosari, crocifissi, gioielli che sono esposti nel museo accanto alla chiesa. Ad esempio medaglie della Madonna di Loreto o una rarissima di Sant'Oronzo, patrono di Lecce, oppure una lettera di protezione, forma di devozione popolare per difendersi da malattie e garantirsi il passaggio all'aldilà. Ma sono soprattutto la povertà e la dignità i tratti distintivi di questa scoperta. “Per la prima volta non si tratta dei resti di principi o religiosi che magari indossavano un saio per l'incontro con Dio – osserva Labate - Questa era gente povera che andava verso la morte esattamente come era vissuta. Povera, senza argenti e con i vestiti rammendati”.

Patrizia D'Alessandro
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