19/05/2011
(questo articolo fa parte del numero di maggio - giugno 2011 di Famiglia Oggi). E' possibile abbonarsi al bimestrale cliccando qui.
Già da qualche anno è arrivata anche in Italia la
pratica dei cosiddetti Alzheimer Café, luoghi di incontri
e terapia per persone affette da questo diffusissimo
morbo che colpisce, secondo il Rapporto Mondiale
Alzheimer 2010, 35,6 milioni di individui in tutto il
pianeta. Si stima che le persone affette saranno 65,7 milioni
entro il 2030 e 115,4 milioni entro il 2050, e un vero
e proprio allarme è stato lanciato dalla comunità internazionale
per intensificare gli sforzi della ricerca allo
scopo di prevenire o contrastare la malattia. I costi dell’assistenza
ai pazienti, infatti, sono tra le voci più alte della
spesa sanitaria di tutto il mondo e occorre con urgenza
affrontare il problema sotto molteplici punti di vista.
L’iniziativa degli Alzheimer Café ha preso avvio in Olanda
sul finire degli anni ’90 da un progetto dello psicogeriatra
olandese Bere Miesen, nato per creare dei momenti
di incontro e svago con gli anziani colpiti dalla patologia
caratterizzata principalmente da un’irreversibile
perdita di memoria. Tre gli obiettivi indicati da Miesen,
quello di informare sugli aspetti medici e psicosociali
della demenza, sottolineare l’importanza di parlare
apertamente dei propri problemi e, infine, di prevenire
l’isolamento dei malati e dei loro familiari.
Momenti e luoghi per socializzare
Dopo l’Olanda, altri Paesi quali Gran Bretagna, Germania,
Belgio, Grecia e Australia hanno via via istituito
questa pratica fino ad arrivare, intorno al 2005, anche
nel nostro Paese, cominciando dal Nord Italia. Grazie all’interessamento
delle istituzioni pubbliche, quali aziende
sanitarie locali, o di istituti di cura privati e molto
spesso associazioni di volontariato, i “caffè Alzheimer” si
sono diffusi in molte città italiane. Si tratta di momenti
di stimolo per i pazienti che si ritrovano in genere in
strutture provviste di caffetteria (per esempio librerie,
circoli o altro), dove colloquiare in presenza di operatori
attraverso protocolli che prevedono conversazioni formali
e informali, in un clima di convivialità e aggregazione.
Spesso si svolgono attività manuali oppure dei giochi
di memoria ma le abilità sociali e relazionali dei pazienti
vengono coltivate
anche attraverso l’ascolto
di musica, la visione di
film, o la lettura. Le ore
trascorse insieme sono utili
sia per i pazienti sia per i
familiari. Le figure coinvolte
nell’assistenza sono
psicologi, educatori e geriatri
che, insieme ai volontari
e agli accompagnatori,
organizzano gli incontri
con una cadenza generalmente
mensile.
Ma la lotta contro l’Alzheimer
passa anche attraverso
i necessari avanzamenti
della ricerca scientifica.
Nel 2011 è stata avviata
una collaborazione internazionale
per la mappatura
di tutti i geni implicati
nella malattia, il progetto
“IGAP”, dall’inglese “International
Genomics of
Alzheimer’s Project”, che
vede coinvolte università e
centri ricerche internazionali,
per arrivare nel più
breve tempo a svelare tutti
i segreti della genetica legata
al morbo. Tra i partecipanti
italiani, due gruppi
del Dipartimento di
neurologia clinica e comportamentale
dell’Irccs
Fondazione Santa Lucia
di Roma. La mappatura
dei geni coinvolti servirà a
svelare le cause ereditarie
della malattia e della sua
progressione, a definire
nuovi bersagli per lo sviluppo
di farmaci e fornire
metodi genetici per riconoscere
le persone a maggior
rischio. «È di fondamentale
importanza comprendere
meglio i meccanismi
alla base di questo
disordine», ha affermato
Gianfranco Spalletta, a capo
del Laboratorio di Neuropsichiatria
della Fondazione
Santa Lucia, «perché
le complesse espressioni
cliniche che lo caratterizzano,
sia cognitive che
comportamentali, rendono
estremamente difficile
la gestione del problema e
determinano i forti costi
sanitari».
La realizzazione
di IGAP darà vita a una
banca dati comune che
raccoglierà le informazioni
di più di 40 mila individui,
coinvolgendo tutti i
più grandi gruppi di genetica
del mondo che operano
nel campo della malattia
di Alzheimer.
La ricerca di base
Le ultime sfide per rallentare
questa malattia si
giocano sul piano della ricerca
di base. Un’equipe
dell’Irccs Fondazione Santa
Lucia e Università Tor
Vergata di Roma, con uno
studio finanziato da Telethon,
ha scoperto qual è
la molecola responsabile
della perdita della memoria
nella forma ereditaria
della patologia: si tratterebbe
dell’enzima caspasi
3, capace di distruggere le
sinapsi, ossia i collegamenti
fra neuroni.
Le forme
ereditarie sono la minoranza,
circa il 5-10%, ma la
comprensione del meccanismo
potrebbe avere importanti
ricadute nella diagnosi
precoce della malattia.
Gruppi delle Università
di Udine, Pavia, Genova
e Firenze e dell’Istituto
Mario Negri di Milano, in
collaborazione, hanno invece
scoperto alcuni antibiotici
efficaci contro gli
aggregati della proteina
beta 2-microglobulina, responsabile
dell’amiloidosi
(accumulo di depositi di
proteine nelle cellule nei
pazienti emodializzati cronici):
il processo si verifica
anche in patologie neurodegenerative
come l’Alzheimer
e il Parkinson.
Questa ricerca apre interessanti
prospettive sulla
progettazione di nuovi farmaci
e l’applicazione di
questi antibiotici in terapie
non convenzionali.
Se risulta prioritario, da
un lato, sviluppare servizi
integrati di assistenza socio-
sanitaria, che siano efficienti
nell’andare incontro
ai bisogni delle persone
affette da demenza e di
coloro che se ne prendono
cura e, dall’altro, perfezionare
le strategie preventive,
rimangono centrali,
insieme alla ricerca, gli interventi
su chi è già malato,
perché, nonostante
questo, è ancora capace di
una vita emotiva e affettiva.
La relazione con i familiari,
gli amici e gli assistenti,
soprattutto in un luogo
accogliente come l’Alzheimer
Café, è la terapia più efficace
per ridurre la sofferenza
e i danni indotti dalla
malattia.
Alessandra Turchetti