Aborto, in Lombardia è scontro

Una sentenza del Tar dichiara inapplicabili alcune disposizioni della Regione in materia di aborto terapeutico.

03/01/2011
Foto THINKSTOCK
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La sentenza del Tar della Lombardia che ha bocciato la delibera regionale del 22 gennaio 2008 in materia di "Linee di attuazione operativa della legge 194" ha suscitato, come prevedibile, vibrate reazioni da parte del presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, che ha fatto rilevare come le motivazioni per la bocciatura del provvedimento, cioé l'interferenza del provvedimento con una legge statale, non sono coerenti con la delega alle singole regioni sulla pillola abortiva Ru486. Stessa materia, due competenze diverse, insomma.

Rivediamo i fatti. Il 22 gennaio 2008 la Regione Lombardia emette un provvedimento che vieta, dopo la 22^ settimana e 3 giorni, l'aborto terapeutico (cioè quello effettuato, ai sensi della legge 194/78, «a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna e b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna»): oltre questo limite di tempo gli specialisti (si noti: sia di area cattolica che laica) ritengono che il feto, grazie al miglioramento delle tecniche di rianimazione di questi ultimi anni, abbia qualche probabilità di sopravvivere dopo essere stato "abortito vivo", con obbligo quindi dei medici di assisterlo per cercare di salvargli la vita. Si tratta, in poche parole, di una sorta di terribile "conflitto di interesse" fra la madre, che non vuole il figlio, e il bambino che, nascendo vivo, reclama il suo diritto a vivere. La situazione, in sè molto dolorosa, è stata risolta nel modo indicato dalla Regione Lombardia che, nella stessa delibera, aveva anche previsto, in caso di aborto terapeutico, di far compilare il certificato per l'interruzione di gravidanza da almeno due ginecologi, dopo aver sentito uno psicologo.

Ora il Tar, con la motivazione che la Regione «contravviene alla chiara decisione del legislatore nazionale di non interferire in un giudizio volutamente riservato agli operatori» (che varia da situazione a situazione) ha bocciato il provvedimento su richiesta di 8 medici appoggiati dalla Cgil, che avevano impugnato il provvedimento. Da un punto di vista pratico i medici ridiventeranno, dunque, "padroni della situazione", anche se c'è da aspettarsi che la soluzione pratica del limite temporale, spontaneamente già adottata dagli specialisti operanti nelle strutture sanitarie lombarde, verrà, vista l'attendibilità scientifica, applicata lo stesso in futuro in Regione mettendo d'accordo Tar e scienza, come ha ribadito lo stesso Formigoni.

Rocco Buttiglione, presidente dell'Udc, dal canto suo, ha già presentato una proposta di legge per modificare la 194, limitando l'aborto terapeutico alla 20^ settimana. Visti i venti di guerra che spirano quando si parla di aborto, c'è da dubitare che la proposta avrà un seguito. Ma, almeno, si cercherebbe di arginare con la legge quello che la noncuranza o la paura causano talvolta, e di cui le cronache ogni tanto danno conto: il dramma di bimbi abortiti vivi e lasciati a morire in un cesto della spazzatura di qualche ospedale italiano.

Stefano Stimamiglio
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Postato da Kim il 04/01/2011 20:57

Vorrei precisare una cosa riguardo il post del sig. Annibale; nell'articolo si parla di aborto terapeutico (IMG: Interruzione Medica di Gravidanza) e non di aborto (IVG: interruzione Volontaria di Gravidanza). La cosa è estremamente diversa. L'aborto terapeutico si effettua dopo i tre mesi, ovvero dopo il periodo in cui l'aborto (IVG) è consentito dalla legge e questo perché, in genere, si sono riscontrate, nel feto, gravi malformazioni. IN poche parole si abortisce intorno il 4-5 mese. Una donna che porta avanti la gravidanza fino a questo periodo, un figlio lo vuole eccome. Non siamo di fronte, dunque, ai casi ipotizzati dal sig. Annibale, ma di fronte ad un dramma ancora più grande, ovvero quello di una gravidanza voluta, magari cercata per tanto tempo e in cui qualcosa, per qualche motivo, è andato storto e a prodotto gravi danni che, il più delle volte, sono diagnosticabili sono con l'ecografia morfologica, esame che si effettua appunto, intorno la fine del 4°mese di gravidanza. Qui inizia un vero calvario, perché il figlio atteso presenta gravi problemi che molte volte lo porteranno alla morte nel giro di qualche anno, dopo atroci sofferenze, magari operazioni ripetute, ecc ecc. E' in questi casi che si paventa un'IMG. Il problema che si pone, credo sia un altro. In Italia, se si è deciso per un'IMG, si lascia nascere il feto e nel caso esso sopravviva lo si deve rianimare, ma il feto è un essere gravemente malato, il più delle volte destinato a morire, in questo modo si prolunga e si aumenta il dolore della famiglia e della coppia che aveva preso la difficile e dolorosa decisione di effettuare un'IMG, e dunque di evitare al proprio figlio quelle sofferenze che invece, in questo modo, gli saranno inflitte. Il buco legislativo è qui.

Postato da Andrea Annibale il 03/01/2011 18:19

Il mio punto di vista sullo scottante e difficile tema dell’aborto è il seguente. Ci sono sostanzialmente due situazioni tipiche in cui la donna abortisce. La prima è la ragazza giovane che ritiene troppo presto il tempo per avere un figlio e magari non è neanche sposata. La seconda è la gravidanza inaspettata della donna sposata o anche non sposata che comunque ha già uno o due figli e non ne vuole altri. Nel secondo caso, lo Stato dovrebbe dare incentivi economici per tenere il figlio, se la donna liberamente decide di non abortire. Ad esempio, lo stato potrebbe accollarsi il mantenimento del terzo o quarto figlio per un certo numero di anni. Nel primo caso, bisogna a mio modo vedere di consentire alla donna di dichiarare il nome del padre davanti al medico o davanti ad un notaio, accollandogli così, nel caso decida di non abortire, la responsabilità morale e giuridica della gravidanza e dell’allevamento del figlio. Si dovrebbe, in altri termini, consentire alla madre ma non al padre di dichiarare lo stato di abbandono e quindi l’adottabilità del nato, se non del nascituro. Questo disincentiverebbe l’aborto. In altri termini, si deve fare una carta dei diritti economici e giuridici del nascituro e si deve responsabilizzare molto di più il padre e/o lo Stato di fronte alla futura nascita. In conclusione, la strada maestra mi sembra quella di creare incentivi legali/economici alla nascita e non quella del divieto di abortire che incrementa il dramma inaccettabile dell’aborto clandestino. La decisione finale sull’aborto deve però secondo me restare in capo alla madre. E’ sbagliato dire che il padre deve avere voce in capitolo, perché alla fine è la donna che, come sostengono anche le femministe (ma non solo loro) di fatto si trova a sopportare tutta la responsabilità e i pesi connessi alla futura vita. Sul piano della responsabilità di fronte a Dio e alla Chiesa, l’induzione all’aborto da parte dell’uomo dovrebbe avere la stessa gravità della decisione di abortire presa dalla donna. Ciao.

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