21/01/2012
Foto Thinckstock.
Sono stati pubblicati mercoledì 18 gennaio sulla rivista medico-scientifica online “The Lancet”, e rilanciati dall’ultimo supplemento “è Vita” di Avvenire, i risultati di una ricerca condotta all’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Guttmacher Institute. I dati, seppure indichino un calo di aborti per le donne tra i 15 e i 44 anni nel periodo oggetto dello studio (da 35 per mille nel 1995 a 29 per mille nel periodo 2003-2008), ciò non toglie la gravità del fatto che, nel solo 2008, ci siano stati oltre 44 milioni di aborti: ben il 21% delle gravidanze nel mondo. Un’ecatombe.
La metà degli aborti, poi, sono avvenuti in modo clandestino e, soprattutto in Africa (97%) e in Asia (65%), vengono giudicati come “pericolosi” dal rapporto. La ricerca lega a doppio filo la presenza di legislazioni favorevoli all’aborto con il minor tasso di abortività: «per esempio», si legge nel rapporto, «nel 2008 il tasso di abortività era di 29 su mille donne in età feconda in Africa e di 32 su mille in America Latina, regioni in cui l’aborto ha forti restrizioni. Al contrario nell’Europa Occidentale, dove l’aborto è generalmente permesso, il tasso è di 12 su mille». Viene altresì citata l’area sotto l’influenza del Sudafrica, permissiva in materia di aborto, che ha dati simili a quelli appena citati.
Il favore all’introduzione a legislazioni pro-aborto da parte del rapporto si spiega con il fatto che il Guttmacher Institute è un’istituzione americana attiva da oltre quarant’anni per promuovere quella che viene chiamata “salute riproduttiva” delle donne, termine neutro che indica nella legalizzazione dell’aborto - nei paesi dove ancora non è permesso - e nell’uso degli anticoncezionali la panacea per preservare le donne dagli “effetti collaterali” della gravidanza (la morte durante il parto soprattutto). Se può certamente stupire che dietro al freddo titolo di “aborto” si nasconde una persona che mai vedrà la luce, un dramma che andrebbe combattuto più con aiuti anche economici alle donne in gravidanza e a un’educazione al corretto uso della sessualità, restano poi naturalmente alcuni punti oscuri. Per esempio, quanti aborti “non registrati” dalle statistiche ufficiali si nascondono dietro a quella che, surrettiziamente, viene chiamata “contraccezione d’emergenza” (pillola del giorno dopo, dei cinque giorni dopo) o di metodi spacciati per contraccettivi, come la spirale, che nel loro funzionamento sono invece abortivi perché impediscono l’annidamento dell’embrione nell’utero? Metodi che, ovviamente, sono diffusi prevalentemente nei paesi più ricchi, che le statistiche ritengono meno “abortivi” anche se decisamente più “abortisti”. Che dire poi delle donne, il cui numero è ovviamente nascosto, che soffrono di quella che gli psicologi chiamano “sindrome post-abortiva”, conseguenza tardiva di un’aborto con manifestazioni psichiche e psico-somatiche spesso rilevanti? Sofferenza raccontata in un recente libro (“La camera vuota”, Paoline, euro12,50), dove una giovane donna, già madre di due figli, fa rivivere con un linguaggio speso metaforico il dramma della sua decisione di abortire. Forse l’unica cosa che potrebbe mettere tutti d’accordo – come ci ha raccontato un giovane impegnato con il Centro di Aiuto alla Vita di Rivoli (Torino) per un servizio che sarà pubblicato sul numero 6 di Famiglia Cristiana il 5 febbraio – è avere in braccio quella piccola vita appena nata e strappata a un possibile aborto e guardare gli occhi della sua mamma.
Stefano Stimamiglio