16/02/2011
Adozione e single. Due termini che difficilmente riescono a collocarsi sullo stesso piano. Vuoi per le norme previste dallo Stato, vuoi per l’esigenza di tutelare il benessere dei bambini prima di tutto. E a dimostrarcelo, anche in questi giorni, arriva fin troppo direttamente il polverone mediatico sollevatosi dopo il caso della mamma single di Genova. Molta confusione e facili pressappochismi. Come uscirne? Come farsi un’idea non filtrata da chi ha già provveduto a pensare al posto nostro? A sbrogliare questa fitta matassa ci aiuta Piercarlo Pazé, magistrato in pensione del Tribunale dei minori di Torino e da oltre vent’anni direttore della rivista Minoriegiustizia.
-Partiamo da ciò che è previsto dalla legge italiana sulle adozioni…
«L’adozione alle persone singles è già consentita nell’ordinamento italiano, ovviamente solo in casi particolari. Ed è concepita come “adozione sussidiaria”. Credo, quindi, che non sia questo specifico aspetto, tra l’altro già normato dal nostro ordinamento giuridico, a costituire il vero centro del problema discusso in questi giorni. Andiamo con ordine, dunque. Di norma si consente l’adozione di un bambino a una coppia sposata e in grado di garantire una certa stabilità. Di fronte, però, a particolari e gravi situazioni vissute dal bambino (si pensi, ad esempio, al caso di un bambino con handicap che nessuno vuole), la legge concede l’adozione anche a persone non sposate, a persone singles. Fattispecie ben precisate all’interno dell’art. 44 della legge sulle adozioni. Questa, in estrema sintesi, è la casistica prevista dal nostro sistema giudiziario, verso la quale esprimo tutto il mio consenso».
- Quale sarebbe allora il nodo problematico?
«In poche parole, è la condizione del bambino. Non appare corretto, infatti, far persistere la differenza tra adozione legittimante (concessa ad una coppia sposata) e adozione non legittimante (concessa a una coppia non sposata o ad un single). Cioè continuare a distinguere tra bambini adottati nel matrimonio e bambini adottati fuori dal matrimonio. Non è rispettoso della dignità degli stessi bambini. Qui, a mio avviso, c’è il vero punto debole del problema. Ad oggi, tuttavia, in parlamento è in discussione una proposta di legge che prevede di stabilire che tutti i bambini siano ritenuti uguali, senza differenze. Dovrebbero essere abolite tutte le distinzioni applicate ai bambini sin dalla nascita: cioè figli legittimi, illegittimi, naturali, adulterini. Si è figli e basta!».
- Provi a spiegarci meglio.
«Quello che intendo dire è che non si può continuare a ritenere diversi i figli adottati dai single, in determinati casi particolari, da quelli adottati da coppie sposate. Mi pare giusto, ad esempio, che anche un figlio adottato da persone single viva il rapporto coi nonni e mantenga, nel diritto successorio, lo stesso trattamento di un figlio adottato da una famiglia sposata. A mio modo di vedere, si tende a sovrapporre i due livelli. Un conto è parlare delle persone singole che possono adottare e un conto è discutere del trattamento giuridico del bambino adottato. Ci sono notevoli differenze. Basti pensare che la cittadinanza italiana viene concessa solo al bambino adottato in condizione legittimante».
- Ma nel caso specifico della donna di Genova?
«La signora ha posto, secondo me, una questione giusta. È come se avesse detto a chiare lettere “Voglio che il mio bambino adottato sia trattato come tutti gli altri bambini adottati”. Questa donna non ha affatto trasgredito la legge italiana. Anzi! La sua situazione rientrerebbe pienamente nel 5° caso particolare contemplato dalla legge sull’adozione: esso consente ad un cittadino italiano che vive all’estero di poter adottare un bambino secondo la legge dello stato in cui è ospite, purché vi risieda da più di due anni. Nell’analisi del suo caso, non mi pare che siano state riscontrate delle irregolarità. La donna ha chiesto semplicemente che suo figlio sia riconosciuto come tutti gli altri bambini. E questa mi sembra un’esigenza giusta».
- Lei quindi sarebbe a favore dell’adozione ai single?
«Non ho detto questo. Anzi, condivido e apprezzo il criterio preferenziale per le coppie sposate, dove viene garantita la doppia figura genitoriale, maschile e femminile, e la tendenziale maggiore stabilità. Credo che un legislatore non compia alcuna discriminazione nello stabilire dei criteri di preferenza per le coppie sposate e nel delimitare i casi in cui sussidiariamente i single possono anch’essi adottare. Il discorso, invece, andrebbe approfondito su un punto preciso. Circa le adozioni concesse ai single, occorre elencare ancora dei casi particolari oppure sarebbe più utile far crollare questa casistica e generalizzare il tutto? Secondo me va mantenuta, per gli adottati al di fuori del matrimonio, un’elencazione precisa di tutti i casi in cui è possibile, discutendo se vanno ancora bene o meno queste possibilità. È qui il livello della discussione».
Simone Bruno