24/01/2013
«Meglio due donne che un padre violento». Questa, in sintesi, la motivazione alla base della sentenza pronunciata lo scorso 11 gennaio dalla Corte di Cassazione su un complesso caso di affidamento familiare. Protagonisti: un bambino, un padre, una madre omosessuale e la sua compagna convivente. Il via alle polemiche è stato immediato. Un ginepraio di opinioni contrastanti che ha riacceso l’annosa questione delle adozioni alle coppie dello stesso sesso.
«La sentenza», spiega Rosa Rosnati, docente di Psicologia dell’adozione e dell’affido, membro del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia (Università Cattolica di Milano), «ha confermato l’affidamento del figlio alla madre con cui vive, regolamentando le visite del padre, in passato accusato di episodi di violenza nei confronti della madre. Quello che emerge è che il giudice non ha ritenuto che la relazione omosessuale vissuta attualmente dalla madre, potesse essere un motivo sufficientemente valido per interrompere il già consolidato legame madre-figlio».
Il dibattito di questi giorni ha erroneamente letto in questa condivisibile sentenza una possibile apertura verso l’adozione da parte di coppie omosessuali.
Ma su questo è necessario fare alcune puntualizzazioni.
«I bambini che vanno in adozione sono spesso in stato di abbandono, segnati dalla trascuratezza, da anni passati in istituto e non di rado hanno subito maltrattamenti e abusi. La famiglia, e in primis la coppia che li accoglie, ha il compito di favorire, per quanto è possibile, il recupero da queste esperienze sfavorevoli. Compito non facile!», commenta la psicologa. «Crescere potendo godere della presenza di un padre e di una madre consente al bambino di conoscere dal vivo cosa vuol dire essere uomo e donna e, a partire da ciò, poter delineare nel tempo una solida identità maschile o femminile. Non solo, il piccolo al tempo stesso potrà fare esperienza della relazione tra un uomo e una donna, capace di accogliere e valorizzare la differenza dell’altro: ecco il fondamento della generazione umana. Due genitori dello stesso sesso per definizione non possono fornire al bambino questa esperienza di base, e quindi egli sarà gravato da un compito psichico aggiuntivo. Verso i bambini adottati poi, la società ha il dovere di fornire loro condizioni ottimali di crescita, e non certo di esporli a ulteriori fattori di rischio».
È necessario ricordare, inoltre, che il numero di coppie disponibili all’adozione è di gran lunga superiore al numero di bambini che possono essere adottati (sia in Italia sia all’estero). «Più precisamente», prosegue la Rosnati, «nel 2011 ci sono state 8.895 domande per l’adozione nazionale e 4.948 per l’adozione internazionale: nello stesso anno 909 sono stati i minori collocati in adozione nazionale e 4022 in adozione internazionale. Il giudice ha dunque la responsabilità di selezionare, tra le tante, la coppia più idonea ad accogliere e a garantire un ambiente in cui il bambino possa recuperare un passato drammatico».
Tuttavia, alcuni esperti di fama nazionale, appoggiandosi sui risultati di diversi studi sul tema, sostengono che vivere con due genitori dello stesso sesso non porrebbe alcun problema allo sviluppo dei bambini. «Le ricerche su questo tema offrono risultati contrastanti e pongono più domande che certezze», aggiunge l’esperta. «Come sa ogni buon ricercatore, è difficile poter generalizzare i risultati tratti da studi che si basano su campioni esigui, condotti su soggetti spesso reperiti in modo non casuale (per esempio, attraverso gruppi di attivisti). Inoltre, altro è rilevare che i bambini che crescono in famiglie omogenitoriali risultino essere soddisfatti della loro famiglia (sono bambini infatti molto desiderati e su cui molto si è investito), non presentino particolari problemi nei primi anni e abbiano una buona riuscita scolastica, altro è dire che essi nel lungo periodo riescano a raggiungere un adeguato sviluppo sotto ogni punto di vista, anche per quanto riguarda un’identità matura».
In altre parole, come saranno quando saranno adulti? «Ci viene in aiuto una recentissima ricerca di Regnerus, pubblicata nel 2012 su Social Science Research, che ha analizzato un campione di quasi 3.000 giovani e adulti (19-39 anni) cresciuti in diverse tipologie familiari: quello che emerge è che i figli cresciuti da coppie omogenitoriali, in particolare da coppie di madri lesbiche, hanno più probabilità di manifestare problemi comportamentali, di avere livelli maggiori di depressione e una maggiore instabilità affettiva, oltre che una maggiore propensione verso relazioni di tipo omosessuale, o, addirittura un vero e proprio un rifiuto verso una qualsiasi relazione affettiva».
A questo bisogna poi aggiungere la questione relativa al segreto sulle origini, ovvero sull’identità del donatore e/o della madre che ha tenuto il bimbo per 9 mesi, per soldi, facendo spesso leva su una situazione di estrema povertà (e che ne è di loro?) È forse questa una scelta di civiltà? «Tale segreto costituisce un ulteriore fattore di rischio, in quanto sappiamo l’effetto devastante che i segreti hanno. Potremmo forse imparare qualche cosa proprio da quanto è successo in passato nel campo delle adozioni: quali conseguenze hanno dovuto pagare i molti ragazzi che sono venuti a scoprire, magari accidentalmente, che erano adottati e che hanno reagito con fughe da casa, suicidi e quant’altro. Come fanno allora queste coppie a vedere solo il loro diritto ad avere un figlio e non a tremare - e noi tutti con loro - di fronte alle grandi responsabilità che crescere le generazioni di domani comporta?».
Simone Bruno