16/05/2011
I genitori si stanno armando di sempre maggior coraggio e, finalmente, scelgono di denunciare anche i più piccoli episodi di bullismo o microbullismo che si verificano nelle classi scolastiche dei loro figli (parliamo di circa il 50% delle famiglie). A dirlo sono i dati di una ricerca Eurispes Toscana e Censis 2008 presentati durante il recente convegno Tutti i colori del buio:i contenuti pedagogici dell’azione associativa, come risposta al bullismo e alla disgregazione sociale, svoltosi a Firenze nella sede della Provincia (Palazzo Medici Riccardi).
Come spesso accade in questi casi, i risultati dello studio parlano da soli. Infatti, tra le diverse forme di prepotenze rilevate, il 28,7% si riferisce a offese e minacce rivolte verso un solo alunno, il 25,9% a scherzi parecchio pesanti o a offese mirate, mentre quasi il 25% di questi comportamenti costringe le vittime a rinchiudersi in un totale isolamento o, addirittura, li conduce fino all’esclusione dal gruppo. Per il 21% dei casi analizzati, inoltre, si parla di percosse e di furti, mentre quasi il 6% denuncia la diffusione di video umilianti e insulti via sms oppure via mail.
I dati sul cyberbullismo (che coincide con azioni aggressive e intenzionali, poste in essere attraverso mezzi elettronici, tra cui sms, chat, immagini, video, siti web e blog) non sono da meno: si parte dal Flaming (messaggi elettronici violenti finalizzati a scatenare e ad alimentare battaglie verbali on line), si prosegue con l’Harassment (molestie attraverso l’invio ripetuto di messaggi offensivi e minacciosi), per concludere con l’Exclusion, (l’esclusione intenzionale della vittima da un gruppo virtuale).
Dalle interviste realizzate con i ragazzi e le ragazze di scuola superiore emerge che ben il 39% è a conoscenza di quanti sono vittime del bullismo digitale: tra queste, il 33% sono ragazzi e il 35% ragazze. Questa forma di bullismo appare più diffusa fra le ragazze: il 23% delle alunne delle scuole superiori dichiara di essere stata vittima di questo tipo di violenza, a fronte di un 6% tra i maschi.
Di fronte al dilagare di questa piaga, la famiglia, la scuola e le altre istituzioni devono limitarsi alla sola denuncia oppure possono intervenire più attivamente? Secondo la psichiatra e psicoterapeuta Federica Mormando «il personale scolastico deve essere unito nel far rimpiangere ai bulli di essere stati cattivi, per esempio, destinandoli a passare molto tempo in azioni utili alla comunità. La scuola deve essere interessante e riuscire ad appassionare ognuno a qualcosa. E, soprattutto, deve individuare le qualità anche dei bulli e provare a valorizzarle. La famiglia, dal canto suo, deve educare i figli a una giusta aggressività, a saper reagire alle offese in giusta stima di sé».
«Scuola e famiglia», conclude l’esperta, «devono impegnarsi a conquistare la fiducia e la stima dei ragazzi, in modo che denuncino ogni forma di bullismo: la complicità di “vittime” che temono più i persecutori di quanto non si fidino di chi li deve difendere è il più potente alleato dei bulli».
Simone Bruno