15/06/2012
Il professor Roberto Labianca
«ASCO 2012 ha visto la presentazione di nuovi farmaci come Aflibercept e Regorafenib per il tumore del colon e TDM1 per il tumore della mammella che presentano grandi vantaggi per la cura dei pazienti, vantaggi testati e dimostrati. Ma quando verranno disponibili per i pazienti italiani e quanto costeranno?». Questo l’allarme lanciato dal professor Roberto Labianca, Presidente del Cipomo (Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri) e Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Ospedali Riuniti di Bergamo dal Congresso dell’American Society of Clinical Oncology appena concluso a Chicago. «Non sono più tollerabili, anche per una questione etica nei confronti dei pazienti, ritardi rispetto a decisioni che devono essere prese subito dopo una rapida ed efficace valutazione e approvazione. Aifa e Ministero devono rendersi conto della necessità impellente di non più procrastinare decisioni semplicemente ignorando il problema», completa il ragionamento l'oncologo.
La denuncia riguarda alcuni ritrovati medici il cui uso si affianca alla tradizionale chemioterapia o che la perfezionano, andando a colpire solo le cellule tumorali ed eliminando quindi gli antipatici effetti collaterali. «Si tratta di terapie biologiche con ritrovati che vengono assunti per bocca o per endovenosa e che colpiscono solo le cellule tumorali. In questo senso importanti progressi sono stati fatti nel tumore del colon, della mammella e del rene», conferma il medico. «La ricerca in questo campo va avanti molto veloce, il problema però è che ci sono problemi per l’approvvigionamento: costano tanto e l’adozione in Italia è molto lenta». Il motivo? «Una grande cautela da parte delle autorità sanitarie - Aifa e Ministero della Salute – che, se è comprensibile perché occorre naturalmente valutare il fattore costi-benefici per allocare al meglio le risorse, costringe però noi medici a usare farmaci meno efficienti e a far fronte alle famiglie, che nel frattempo si sono informate su internet, che ci fanno pressione per l’utilizzo dei nuovi medicamenti ai loro cari», denuncia Labianca. Il riferimento è in particolare a un antitumorale della mammella (TDM1), che sta dando risultati importanti perché tecnologicamente molto evoluto in quanto combina un anticorpo e un farmaco antitumorale. «È, per così dire, l’arma con la pallottola giusta», specifica, che però, con le medie italiane di approvazione, rischia di prendere almeno un anno. «Tutto rischia di diventare una rincorsa man mano che nuovi farmaci vengono immessi nel mercato», ricorda con un sospiro il medico. In Germania e Belgio le cose funzionano diversamente. L’approvazione lì è molto più rapida: «In questi paesi, se esiste già la registrazione del farmaco a livello europeo, basta solo un giorno per introdurlo in ospedale».
Esiste anche un altro aspetto della questione, la classica “altra faccia della medaglia”, che però alla fine produce lo stesso risultato: la mancanza di farmaci. Un fenomeno planetario, non solo italiano, è infatti quello del cosiddetto “drug shortage”: farmaci antitumorali vecchi anche di 50 anni che, pur per limitati casi, hanno ancoro oggi un loro utilizzo. Qual è il problema? Che costano pochissimo. «In questi casi la produzione spesso si blocca, l’azienda non è più interessata a fabbricarli e così gli ospedali si trovano senza farmaco. In questi casi basterebbe solo incentivare le aziende a produrli». Ma, anche qui, si tratta di affrontare un costo.
Stefano Stimamiglio