Avanza la ricerca sul Parkinson

Tübingen, Hanyang e Milano: sono qui le punte di diamante della ricerca sulla terribile malattia che ha pesanti effetti anche sulla vita familiare.

19/07/2011
Immagine del neurone ottenuto dal gruppo di ricerca del San Raffaele di Milano.
Immagine del neurone ottenuto dal gruppo di ricerca del San Raffaele di Milano.

Una malattia degenerativa da combattere, e non solo dal punto di vista medico: secondo un’indagine del Censis e della Fondazione Serono, realizzata con il contributo della Federazione nazionale Parkinson Italia e Azione Parkinson Lazio, il morbo di Parkinson ha effetti estremamente dannosi sulla vita sociale di chi ne è affetto. Nel campione sottoposto ad analisi si è rilevato che il 73% dei malati si sente isolato, il 57% inutile e il 13% ha visto addirittura disgregarsi la propria famiglia.

Insomma, occorre agire contro questo disordine del sistema nervoso centrale caratterizzato principalmente da una degenerazione della zona profonda del cervello denominata ‘sostanza nera’ dove risiedono i neuroni dopaminergici, quei neuroni che tramite il neurotrasmettitore dopamina controllano il circuito del movimento. La malattia di Parkinson colpisce i due sessi più o meno nella stessa percentuale in tutto il mondo, con i primi sintomi che si presentano in genere intorno ai 60 anni. Il motivo per cui questi neuroni degenerano e poi muoiono non é ancora conosciuto, ed è fondamentale la ricerca medica. Quando le persone presentano i primi sintomi visibili, infatti, un’altissima percentuale di neuroni è già distrutta.

E’ notizia recentissima il risultato raggiunto in Italia dall’equipe coordinata da Vania Broccoli dell’Unità di cellule staminali e neurogenesi dell’Istituto San Raffaele di Milano, che ha trasformato fibroblasti della pelle in neuroni dopaminergici, sia nel topo che nell’uomo. Introducendo in laboratorio tre soli geni in queste cellule mediante un vettore virale, sono stati ottenuti neuroni perfettamente funzionanti, dotati di attività elettrica spontanea e capaci di rilasciare la dopamina. Il passo successivo, oltre al miglioramento della tecnica per ridurre qualsiasi rischio di trasformazione in senso oncogeno della cellula modificata e aumentare l’efficienza di ottenimento dei neuroni, sarà quello di trattare topi e ratti affetti da Parkinson con questi neuroni, per analizzarne il possibile effetto terapeutico. Poi saranno trapiantati nelle scimmie, più vicini all’uomo nella scala evolutiva ed, infine, se confermato il potenziale curativo, sarà la volta della sperimentazione clinica sull’uomo: ogni paziente potrà avere nuovi neuroni da se stesso e curarsi senza rischi in tempi relativamente brevi.

Questo il traguardo, e i ricercatori sono estremamente ottimisti. Ma il morbo di Parkinson è stato già bloccato in un modello animale grazie alle cellule staminali. E’ quanto ha ottenuto un team di ricercatori coreano dell'Hanyang University in collaborazione con un’equipe americana dell’Harvard Medical School di Belmont. La strategia impiegata è stata quella di riprogrammare cellule adulte già differenziate ad uno stadio precedente ottenendo le cosiddette staminali pluripotenti indotte, utilizzando sia vettori virali per trasportare i geni capaci di innescare il meccanismo a ritroso, o proteine specifiche da inserire nelle cellule. Una volta trapiantate nel cervello di ratti affetti da Parkinson, la patologia è notevolmente migliorata grazie alla loro capacità rigenerativa.

Un’altra nuova terapia sempre a base di staminali è stata sperimentata presso l'Università di Tübingen su topi di laboratorio. Con risultati sorprendenti: è avvenuto un recupero del 68% delle funzioni motorie compromesse. In che modo? Iniettando nei topi con danno cerebrale indotto cellule staminali del midollo osseo attraverso la narice. In poche ore queste cellule sono andate a localizzarsi in varie aree del cervello compresa la sede della lesione. Qui si sono differenziate in nuovi neuroni ripristinando la funzione persa della sostanza nera. La ricerca, dunque, fa passi significativi me c’è ancora tempo per le applicazioni sull’uomo. Rimane dunque centrale offrire un’assistenza adeguata ai malati e alle loro famiglie migliorando il supporto delle istituzioni e della società intera.

Alessandra Turchetti
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