19/03/2012
Foto Corbis
Effetti anche a lungo termine sul cervello: questo il responso sull’uso abituale della cannabis nei giovani tra i 15 e i 21 anni dato da specialisti italiani e stranieri riuniti a un incontro promosso dal dipartimento Antidroga della Presidenza del Consiglio lo scorso 12 marzo. Le ricerche hanno dimostrato che la pericolosità della droga è data da un "modellamento cognitivo e simbolico" del cervello, vale a dire un’alterazione strutturale nel tempo dell’encefalo traducibile in difficoltà di memorizzazione e apprendimento, di coordinamento motorio e percezione della realtà. Insomma non c’è da scherzare.
«Si tratta di caratteristiche e abilità che una volta perdute non tornano più», ha sottolineato il capo del dipartimento, Giovanni Serpelloni. «Il cervello ricorda a lungo, l'effetto permane se si continua ad assumere thc». Il tetraidrocannabinolo (“thc”), è il principio attivo della cannabis che si lega ai recettori per l’anandamide, il cannabinoide prodotto dal cervello, che sono presenti in particolar modo sulla corteccia frontale che presiede le funzioni cognitive, nell’ippocampo, deputato alla memoria, e nei gangli della base e nel cervelletto, preposti alla coordinazione delle funzioni motorie. Ecco perché avvengono le alterazioni descritte a breve e lungo termine. Durante l’incontro è emersa la necessità di testare l'abitualità dell'assunzione di cannabis cambiando il tipo di analisi sui consumatori, da quelle del sangue a quelle delle urine dal momento che il tempo di smaltimento della molecola è molto lungo e se ne ritrovano le tracce anche dopo settimane, aprendo alla possibilità di un sanzionamento in caso di guida anche fuori dal primo effetto a breve termine. «Noi proporremo - ha affermato Serpelloni - di riconsiderare il tipo di esame per il ritiro della patente».
L’incontro si è svolto all’interno di due giornate formative di altissimo livello, a seguito dell'accordo internazionale di collaborazione scientifica siglato tra l'Italia e gli Stati Uniti. Protagonisti i ricercatori e gli scienziati statunitensi provenienti dal NIDA (National Institute on Drug Abuse) che hanno affrontato gli aspetti clinici, farmacologici della dipendenza oltre ai trattamenti dedicati alle persone tossicodipendenti con approfondimenti sulla prevenzione e sul consumo di cannabis. L'accordo fra i due paesi favorirà, infatti, lo svolgimento di ricerche per migliorare la diagnosi precoce, lo screening, il trattamento e gli interventi brevi per disturbi da dipendenza soprattutto tra adolescenti e giovani adulti.
Alessandra Turchetti