21/09/2010
foto: Corbis
Due parti a Messina si sono recentemente conclusi con esiti drammatici, il tutto mentre i medici che se ne occupavano discutevano, o peggio litigavano, sulla possibilità di effettuare un taglio cesareo. Due casi di malasanità molto simili tra loro, soprattutto perché, qualunque fosse la corretta soluzione al problema delle due partorienti, mostra come ci sia ancora molta confusione sul ricorso al parto cesareo, un intervento che in Italia, nonostante le indicazione dell' Oms è in continuo aumento. Si parla addirittura di una percentuale del 38% che porta il nostro Paese ai vertici (in negativo) della classifica europea.
Il peggio lo si rileva negli ospedali del Sud che sfiorano il 60%, toccando addirittura il 78% nelle strutture private. Nel dettaglio troviamo la Campania con una percentuale del 60,5%, la Sicilia (52,4%), il Molise (48,9%) e la Puglia (47,7%). Al Nord la situazione migliora a partire da Friuli, Toscana e Lombardia, attestandosi tra il 24 e il 28%. Solo Bolzano (20%) si avvicina ai valori raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (15%) e del Ministero della Salute italiano (20%).
L’impegno è ridurre queste percentuali come spiega Francesca Merzagora, presidente dell’Onda (Osservatorio Nazionale sulla salute della donna) che ha lanciato il programma Bollini Rosa con cui ogni anno assegna un riconoscimento per attestarne l’impegno degli ospedali nei confronti delle malattie femminili e l’attenzione specifica verso le donne ricoverate: «abbiamo inserito tra le caratteristiche che devono avere gli ospedali per ottenere i nostri “Bollini Rosa”, l’impegno a ridurre costantemente il numero dei parti cesarei fino ad avvicinarsi alla soglia del 20% prevista dal Ministero della Salute e dall'Oms. Il ricorso al cesareo è consigliabile solo in caso di necessità clinica o in una situazione di emergenza nell’interesse del nascituro e della donna».
Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università Cattolica di Roma considera i dati italiani il segnale di una patologia del sistema: «Certamente indicano problemi strutturali, organizzativi, economici e di responsabilità medica. A partire dalle strutture che non garantiscono l’epidurale 24 ore su 24 e che preferiscono orientarsi verso il parto cesareo anche in assenza di reale necessità. Molti cesarei sono determinati da una eccessiva cautela da parte del medico, specialmente nei casi in cui la struttura sanitaria non è adeguata. Non tutti gli ospedali, infatti, possono fornire un elevato livello di sicurezza. Dato che la maggior parte delle strutture non tutela il medico in caso di complicazioni, questo preferisce evitare problemi legali ricorrendo direttamente al cesareo. E la donna opta per il cesareo per gli stessi motivi. La situazione, però, porta a delle conseguenze sia in termini di salute (dolore post-operatorio, ricorso al cesareo anche per i parti successivi) sia economici (degenza più lunga)».
Il ginecologo Nicola Natale, Presidente della sezione milanese di Scienza&Vita, sulla base della sua decennale esperienza, ricorda che «se le indicazioni mediche lo consigliano nel 18% dei casi circa, a cui è da aggiungere il 5-6% delle mamme che lo richiedono per motivazioni di tipo esclusivamente psicologico a conti fatti il 25% di cesarei è fisiologico. Il resto, cioè la stragrande maggioranza, è assolutamente fuori luogo. L’Istituto Superiore della Sanità sconsiglia il parto cesareo su richiesta della paziente che però, informata dalle amiche o da altre fonti come riviste o internet, pretende dal medico questo tipo di intervento. Il risultato è che aumenta sensibilmente la spesa sanitaria e soprattutto le conseguenze collaterali come gli esami medici da effettuare legati all’intervento».
Orsola Vetri