Aiuto alla vita, nessuno sia straniero

Si è svolto nello scorso fine settimana l'annuale convegno dei Centri di aiuto alla Vita. Oltre l'80% delle donne assistite è di origine straniera.

07/11/2011

Si è svolto nel fine settimana a Firenze il XXXI Convegno nazionale dei Centri di Aiuto alla Vita (Cav), il braccio operativo del Movimento della Vita (Mpv) che opera in molte città d’Italia per sostenere le donne in gravidanza. La sede prescelta per il convegno nazionale di quest'anno, la Basilica di S. Lorenzo, ha dello storico: è qui infatti che, nel 1975, prima quindi che venisse approvata la legge 194/1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza, nacque il primo Cav d'Italia. Da allora, come ha ricordato nella sua relazione di apertura Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, oltre 130mila donne sono state aiutate permettendo ai loro bambini di nascere.

Il titolo scelto per l’edizione 2011, "Nessuna vita ci è straniera", richiama in prima battuta a riflettere su un dato impressionante: oltre 29mila delle 35mila (82%) delle donne assistite dai 331 Cav presenti sul territorio nazionale erano di origine straniera, un dato che, confrontato con quello del 1990 (16%), è esplicativo di come l'emergenza e il disagio si siano spostati verso i settori della popolazione più indifesi. In realtà la "estraneità", l'essere "straniero" è un concetto che, prima di essere una categoria sociologica, è un nudo dato antropologico: come ha sottolineato Casini, straniero è colui che «è escluso, il diseguale, è colui che bussa per entrare e chiede di partecipare alla vita dei cittadini, di essere integrato nella società. Ma è anche colui che spesso viene respinto e che perciò corre rischi gravi, a volte estremi». E ancora: «Quando il figlio è abortito esso è il totalmente escluso non da una particolare Nazione, ma dall'intera comunità degli uomini e non è escluso soltanto di fatto perché respinto dalle frontiere dei viventi, ma è respinto anche dalla mente, dal pensiero, dal diritto. Viene negato persino il nome di uomo».

Un'emarginazione e un'estraneità culturale, giuridica, sociale, politica. Questo vuol dire che le italiane abortiscono meno? No, secondo il presidente del Mpv, che non ha mancato di lodare il fondo Nasko della regione Lombardia a sostegno della maternità: «Il numero delle donne italiane in età feconda è in continua diminuzione per effetto del crollo di natalità e soprattutto perché tra esse l'aborto chimico precocissimo, tanto clandestino da essere non conoscibile, è negli ultimi anni in continua crescita». Il riferimento è alla "pillola del giorno dopo" e a quella dei "cinque giorni dopo", che sono spacciate per anticoncezionale ma che in realtà, impedendo l'insediamento dell'embrione nell'utero, sono veri e propri strumenti abortivi. Ma esiste, secondo Casini, anche un altro tipo di estraneità, postuma all'aborto: quella della donna. «È il dolore delle donne che hanno fatto ricorso all'aborto, un dolore segreto e perciò chiuso nella sfera privatissima di una grande quantità di donne». Un recente libro delle Edizioni San Paolo affrontano di petto questi drammi nascosti (Maternità interrotte, 2011, euro 15).

Giuseppe Anzani, vicepresidente del Mpv, ha sottolineato come l'uguaglianza, prima che essere messa per iscritto dalle leggi, deve realizzarsi sul piano concrete delle relazioni umane. Solo così, se il bambino trova un grembo che, prima di essere accogliente, sia esso stesso accolto dalla società, potrà realizzarsi l'utopia di una vera uguaglianza. Tra le altre relazioni particolare attenzione ha attratto l'intervento l'on. Anna Zaborska, parlamentare europeo originaria della Slovacchia, che, occupandosi di famiglia e infanzia, ha ricordato come un successo la recente sentenza della Corte Europea di Giustizia a favore dell'embrione.

Stefano Stimamiglio
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