07/03/2012
Mi scrive una donna: «Sono la moglie
di un ragazzo che è convinto di risolvere
i suoi problemi con il gioco e desideravo
che qualcuno intervenisse quantomeno
nel problema degli spot televisivi. Io
sono una persona forte e razionale, ma mio
marito è debole. La mia vita è sempre più un
disastro». È uno dei messaggi che ho ricevuto
dopo che ho preso l’iniziativa di segnalare la
pericolosità del gioco d’azzardo e la necessità
di regolare la pubblicità in proposito.
Questi messaggi mi hanno fatto riflettere
sul dolore di tante famiglie e sul tunnel in cui
si ritrovano non pochi italiani. La pubblicità,
da parte sua, trasmette un messaggio allettante:
l’azzardo come una via rapida e breve per
aver fortuna in un presente in cui tante strade
si chiudono davanti alla gente. Significativamente,
nei tempi di crisi e di calo di speranza
il gioco d’azzardo prospera. È il sogno di
una vita che non richieda fatica, lavoro e pazienza.
Ma bisogna anche dire che si tratta di
un’illusione. Talvolta, il gioco è anche un rifugio
dopo tante frustrazioni e dopo che la vita
si è rivelata troppo difficile.
Si cerca magicamente di cambiare una situazione
di disagio in una conduzione fortunata.
Ma spessissimo la magia non riesce.
Se riesce una volta è un’eccezione. Anzi, spesso
comincia una storia che porta sempre più
in basso: indebitamenti, ingresso nei circuiti
dell’usura, coinvolgimento dei familiari e crisi
delle famiglie.
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio e ministro per la Cooperazione internazionale e per l'Integrazione (foto Ansa).
Il gioco è un fenomeno di tutte le civiltà.
Non che si voglia abolire l’aspetto ludico della
nostra vita, perché giocare è un aspetto bello
della vita. Ma come giocare e quanto investire
sul gioco? Si deve segnalare un pericolo
e una dipendenza per una fascia di persone.
Del resto il gioco si va spostando sempre più
da una dimensione sociale (per cui quello
che perdo lo vince un altro) a una dimensione
solitaria (in cui mi trovo davanti a un ente
anonimo che incassa le mie perdite e paga i
miei guadagni). Si sta manifestando una vera
e propria dipendenza psicologica dal gioco,
la cosiddetta ludopatia, un comportamento
compulsivo, assimilabile alla tossicodipendenza
o all’alcolismo.
Secondo l’Organizzazione mondiale della
sanità il 3 per cento degli italiani, circa un milione
e mezzo, sono affetti da questa sindrome.
La maggior parte dei giocatori sono uomini,
per lo più diplomati; ma non mancano le
donne. Il giocatore viene preso da una forma
ossessiva: gioca per rifarsi dalle perdite ed entra
in un circuito da cui non è facile uscire,
perché monopolizza tutta la sua attenzione.
Bisogna prevenire queste forme di dipendenza,
ma anche evitare che, con la pubblicità, si
alimenti un’attrazione pericolosa. Il gioco diventa
come il fumo e bisogna avvertire che di
esso si può “morire”. Muore, insomma, una
vita normale, fatta di relazioni con gli altri e
di equilibrio, sotto il peso di una dipendenza
sempre più schiacciante.
Andrea Riccardi