15/03/2012
Foto Corbis
«È mia intenzione intervenire contro la pratica delle dimissioni in bianco, un fenomeno che colpisce gran parte delle lavoratrici, frutto anche del preconcetto antifemminista ancora presente nel mondo del lavoro. Esistono diversi progetti di legge su cui tutte le forze politiche presenti in Parlamento sono d’accordo. Questo può e deve cambiare, molto si può fare per conciliare famiglia e lavoro, soprattutto se crediamo che la crescita di lungo periodo non può prescindere da un maggior coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro». Elsa Fornero, ministro del Lavoro, ha parlato esattamente così una settimana fa al Quirinale in occasione della celebrazione della Giornata internazionale della donna facendo riferimento al fenomeno delle dimissioni in bianco, cioè senza data, fatte firmare loro “ora per allora” all’atto dell’assunzione. Quando “allora” sta molto spesso per “gravidanza”. Un fenomeno che sembra coinvolgere almeno il 25 per cento delle lavoratrici italiane. Il provvedimento è allo studio e dovrebbe rientrare, secondo le intenzioni della Fornero, nella più generale riforma del mercato del lavoro per porre fine all’abuso.
La giornalista e scrittrice Ritanna Armeni nel numero di marzo del Messaggero di sant’Antonio riprende il tema e commenta: «La lettera è conservata dal datore di lavoro e usata nel caso la lavoratrice rimanga incinta. Nessuno potrà protestare, dal momento che, agli occhi della legge, non si tratta di un licenziamento, ma di dimissioni liberamente sottoscritte e di un rapporto di lavoro altrettanto liberamente rescisso. È evidente che la verità è l’esatto opposto. Siamo di fronte a un atto di prevaricazione: la donna ha subito un ricatto». Come ricorda l’Armeni la legge 188 del 2007, approvata oltre tre anni fa a larghissima maggioranza, aveva la funzione di evitare «l’imbroglio perché la dichiarazione di dimissioni volontarie era valida solo se si utilizzavano appositi moduli distribuiti esclusivamente dagli uffici provinciali del lavoro e dalle amministrazioni comunali, contrassegnati da codici alfanumerici e da una data di emissione». La legge, che aveva mostrato un buon funzionamento, fu poi abrogata dal governo di centrodestra nel giugno 2008, nonostante diverse migliaia di firme raccolte per difenderla. «E tutto è tornato come prima», commenta l’Armeni, «le giovani donne continuano a subire il ricatto e ne conosciamo le conseguenze: spesso smettono di lavorare».
La speranza ora è che, nell’ambito della più complessa ristrutturazione del mercato del lavoro, questa ingiustizia possa conoscere finalmente la parola "fine".
Stefano Stimamiglio