23/06/2011
Don Carlo Rocchetta
Accettare la disciplina dei sacramenti della Chiesa, che non ammette alla confessione sacramentale e all'Eucarestia chi sia separato o divorziato e abbia iniziato una nuova unione, a volte non è facile. Non di rado la Chiesa viene accusata di scarsa sensibilità o di mancanza di misericordia. Questa disciplina però rispecchia l'essenza stessa del matrimonio cristiano tra due battezzati e la Chiesa non può disporne a suo piacimento. Gesù stesso nel capitolo 19 del Vangelo di Matteo tratta del divorzio accusando dapprima gli ebrei che tale pratica fu introdotta da Mosè per la "durezza del loro cuore" ma, aggiungendo subito dopo che «in principio non fu così», conclude con la famosa frase: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi». Le persone che vivono una nuova unione dopo il divorzio, dunque, per la verità inscritta nel sacramento stesso del matrimonio, non possono accedere all'Eucarestia ma, e questo è importantissimo, non sono perciò stesso escluse da un cammino attivo di fede nella Chiesa, e quindi nella loro comunità parrocchiale, e, men che meno, dalla salvezza eterna. Questa, in estrema sintesi, la posizione della Chiesa sull'ammissione al sacramento dell'Eucarestia dei divorziati risposati, che il teologo don Carlo Rocchetta ha esposto in questi giorni al convegno sui divorziati risposati organizzato a Salsomaggiore dalla Cei facendo ampio riferimento ai testi ecclesiali, in particolare al Direttorio di pastorale familiare.
Il teologo ha posto nella sua relazione i fondamenti biblico-teologici del matrimonio, condizione necessaria per comprendere poi la disciplina dei sacramenti. «Il sacramento nuziale tra due battezzati non è un atto privato, ma un atto di Cristo, che li consegna l’uno all’altra, rendendoli partecipi dell’allenza nuziale tra Cristo e la Chiesa», ha specificato il fondatore del Centro familiare "Casa della tenerezza" di Perugia. «Dio non si pone al di sopra del loro essere 'uomo' e 'donna', del loro amore umano, del loro consenso ma "al di dentro", rendendoli partecipi del loro vincolo indissolubile. Cristo dice sì all’amore dei nubendi e i nubendi dicono sì all’amore nuziale, formando così una comunità di grazia». E qui si arriva al centro del "mistero nuziale": «I coniugi, secondo la teologia cattolica, diventano ministri dell’atto matrimoniale e il vincolo permanente con la grazia sacramentale si 'impossessa' della loro relazione interpersonale, che diventa sacramento nel senso stretto». Il matrimonio così «è un atto in cui la Chiesa stessa attua la sua identità di sposa di Cristo e ogni celebrazione del sacramento nuziale autorealizza il mistero della Chiesa come sposa di Cristo». Detto in altre parole: il matrimonio cristiano diventa segno, icona profonda, dell'unione indissolubile dell'amore di Cristo per la sua sposa, che è la Chiesa. Gli sposi compiono, nel loro desiderio di unione in Cristo attraverso il sacramento del matrimonio, il segno dell’alleanza irrevocabile di Dio verso l’umanità e di Cristo per la Chiesa e per questo il loro vincolo è indissolubile, salvo la nullità radicale del vincolo stesso.
Quindi, «se l'Eucarestia è il sacramento massimo che esprime, nella dimensione pasquale, l'unione tra Cristo e la sua Chiesa, i divorziati risposati o conviventi vivono una situazione incompatibile con questo segno e ne sono quindi esclusi, a differenza di chi, separato o divorziato, non abbia iniziato alcuna nuova unione e viva ancora, seppure in forma diversa da prima e certamente sofferente, la fedeltà al vincolo originario».
Il punto, la sfida decisiva si pone per la Chiesa però a un altro livello, quello della«sollecitudine pastorale per tutte le famiglie, in particolare quelle che vivono delle difficoltà, che devono essere l'oggetto della cura pastorale dei fedeli», ha spiegato don Rocchetta, e questo perché «il cuore di Cristo è la misura di tutto».
Da Salsomaggiore parte dunque la sfida per il domani: quella di studiare e mettere in atto dei percorsi pastorali per le persone che, anche nella nuova unione, desiderano vivere la loro fede battesimale e la sequela di Cristo attraverso la via ordinaria del sentirsi accolte nella comunità, nello "spezzare" insieme la Parola, nella preghiera comune e individuale, nella carità che, da parte della comunità cristiana, sappia aiutare concretamente - perché no? anche economicamente - queste famiglie "ricostruite", ne sappia accogliere i figli attraverso i percorsi catechistici, associativi. Ne faccia, in una parola, pietre vive dell'edificio della Chiesa che ognuno di noi è chiamato a essere.
Stefano Stimamiglio