02/12/2012
Luisella, disabile, mostra le difficoltà nel muoversi nel centro di Roma. Il Comune è stato condannato perché le fermate dei bus non sono accessibili ai disabili (Ansa).
Si celebra domani la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, realtà storica di solidarietà, commenta l’appuntamento, lui che per anni si è battuto per il welfare e per la carità nella Chiesa con un’attenzione particolare ai portatori di handicap. «La disabiità sta cambiando e sta crescendo di dimensioni. Oggi ci sono due nuove forme: la prima legata alla malattia che curata allunga la vita ma porta la disabilità; così nei casi di ictus, insufficienze respiratorie o cardiache. E la seconda legata all’anzianità, all’età che avanza esponenzialmente».
Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, durante l'intervista (foto: Chiara Pelizzoni).
"Rimuovere le barriere per creare una società inclusiva e accessibile per tutti" è il tema scelto dalle Nazioni Unite per questa edizione. Un’utopia?
«La prima barriera è fisica; abbiamo una legge sulle barriere architettoniche ma viviamo in città vecchie, senza una geografia pronta ad ospitare i disabili. La seconda è culturale; non siamo pronti ad accogliere i disabili e viverli come persone normali. In particolare con i disabili mentali che all’inizio vengono sopportati e alla fine allontanati. C’è poi una barriera affettiva. Qualsiasi persona ha bisogno di amicizia, affetto, amore e sesso. Per i disabili le cose si complicano. L’ultima barriera è quella economica perché mancano gli strumenti di tutela. L’assegno di accompagnamento è di circa 490 euro, la pensione sociale poco più di 200. Ci sono poi la disoccupazione e il mancato inserimento al lavoro. Tutto questo impedisce l’inclusione sociale e i disabili si ritrovano quasi sempre a carico delle famiglie».
Famiglie e disabilità. Qual è l’atteggiamento di chi si trova a convivere con un figlio o un parente disabile?
«E’ duplice; c’è chi scarica il disabile rendendolo solo e diverso e chi, invece, ci si avvinghia compromettendone la serenità. La società in tutto questo contribuisce solo economicamente delegando alla famiglia l’aspetto relazionale e ricreativo. Il rischio è che la famiglia sotto questo peso si spacchi».
Le Nazioni Unite lanciano una sfida per questo appuntamento: "Colmare il divario fra le buone intenzioni e le azioni concrete attese da tempo". Come risponde?
«In Italia di strada se ne è fatta e alcuni risultati sono stati raggiunti. Soprattutto per i disabili nell’età dell’infanzia e della prima fanciullezza. Con l’adolescenza inizia l’abbandono per arrivare alla fine delle superiori nella totale solitudine rispetto agli ambienti, alle risorse, all’ambito sociale e amicale. Per non parlare della vecchiaia. Dico che c’è ancora tanto da camminare».
Chiara Pelizzoni