19/10/2011
La Corte Europea di Strasburgo
Non si possono brevettare e sfruttare a fini economici embrioni e cellule embrionali umane, laddove per embrione si intende «l'ovocita fecondato e ogni ovocita che, a seguito di qualsivoglia manipolazione, abbia le potenzialità per svilupparsi e dar vita a un essere umano». La sentenza C-34/10 della Corte Europea di Strasburgo, emessa ieri, ha dello storico. Il provvedimento, infatti, pur facendo stato solo tra le parti in causa - lo scienziato Oliver Brüstle da un lato e Greenpeace dall'altro - e nonostante la Corte abbia ribadito di non volersi surrogare a un comitato di bioetica supernazionale, è destinata a costituire un importante riferimento per il futuro.
Il caso nasce in Germania, dove nel 1997 il ricercatore Oliver Brüstle, professore di Neurologia ricostruttiva all'Università di Bonn, riesce a brevettare presso l'Ufficio brevetti tedesco un trattamento che contrasti il morbo di
Parkinson. Il procedimento prevede l'utilizzo di cellule progenitrici neurali, in grado cioé di riprodursi per diventare cellule nervose adulte, a partire da embrioni umani allo stato di blastocisti. Peccato che subito dopo la Direttiva 44/98 all'articolo 6 vieti la brevettabilità di utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali. Così, sulla base della Direttiva, la sezione tedesca di Greenpeace - associazione laicissima che mostra come in certe materie esiste un'affinità di vedute con il pensiero della Chiesa - si appella al tribunale ordinario, che dà ragione agli ecologisti e torto al professore. Questi si appella al Bungdesgerichtshof, la Corte di Cassazione tedesca, sostenendo la tesi, scientificamente infondata, del "pre-embrione": secondo lo studioso solo infatti a partire dal 15° giorno dopo la fecondazione potrebbe parlarsi di embrione. Una tesi, sostenuta da una parte del mondo scientifico per poter muoversi liberamente con le sperimentazioni sugli embrioni fino a quel momento, che però contrasta con il nudo dato di realtà: fin dall'istante della fecondazione, infatti, l'embrione è "programmato" per diventare un uomo e non si verifica successivamente alcun "salto" di natura: uomo "in fieri" era al momento della fecondazione e tale resta.
Il caso finisce alla Corte Europea, che proprio ieri ha definitivamente chiuso il caso, riconoscendo che «costituisce un embrione umano qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi». In poche parole, è embrione, e quindi tutelabile, ogni formazione cellulare che sia abilitata a svilupparsi come essere umano.
«Accogliamo con viva soddisfazione il pronunciamento della Corte di giustizia dell'Unione Europea che riconosce all'embrione la dignità di essere umano fin dalla fecondazione», ha commentato Lucio Romano, ginecologo dell'Università Federico II di Napoli e Copresidente nazionale dell'Associazione Scienza & Vita. «E’ significativa dal punto di vista antropologico e giuridico l'affermazione della Corte per cui "la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano", riconoscendo quindi al concepito assoluta protezione. E non solo. L'unica brevettabilità ammessa è quella terapeutica che tuteli e vada a vantaggio dell’embrione stesso».
Sullo stesso tono si è espresso
Carlo Casini, Presidente del Movimento per la vita e presidente della
Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo. «Sono molte le ragioni di soddisfazione per la odierna sentenza della Corte di giustizia europea in materia di brevettabilità degli embrioni umani», ha detto il parlamentare «La sentenza interpreta correttamente l'articolo 6 della direttiva 44/98 per il quale lavorai personalmente con successo e stabilisce principi generali che nel diritto comunitario non potranno essere ignorati». «In primo luogo è definitivamente battuta la tesi del cosiddetto pre-embrione, scientificamente inconsistente, ma che viene ripetutamente sbandierata per giustificare manipolazioni e distruzioni di embrioni umani specialmente nel nome di interessi economici stratosferici. E motivo di soddisfazione anche il fatto che la vicenda giudiziaria sia stata iniziata e sostenuta dai Verdi tedeschi, cui si sono aggiunti non pochi parlamentari anche pro-life in una insolita alleanza che ha reso evidente come il tema dell'ecologia umana possa essere non un elemento di divisione ma un ponte tra culture diverse».
Stefano Stimamiglio