04/11/2011
La Corte europea dei Diritti dell'Uomo.
«La Corte conclude che né il divieto del dono di ovuli al fine della procreazione artificiale né il divieto della donazione dello sperma per la fecondazione in vitro hanno violato il margine di valutazione di cui l'Austria disponeva. Per questa ragione non vi è violazione dell'articolo 8». Con questa statuizione la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha piantato un altro chiodo importante per definire cosa i trattati e le convenzioni europee, firmati negli anni '50, dispongono in sede di interpretazione giurisprudenziale riguardo a materie - così complesse ed eticamente sensibili come quella della fecondazione artificiale, dell'aborto, del testamento biologico, delle staminali, etc - che all'epoca, per lo stato della tecnica, non erano neanche lontanamente immaginabili.
Se un paio di settimane fa dunque la Corte Europea di Giustizia (organo dell'Unione Europea) aveva praticamente riconosciuto lo statuto dell'embrione dal concepimento alla nascita, ora, in base alla sentenza n. 221 della Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell'Uomo (sede giurisdizionale degli obblighi che derivano dalla Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950) diventa ora chiaro che vietare la fecondazione in vitro eterologa non costituisce in alcun modo per uno Stato violazione dei diritti dell'uomo. L'Austria - contro cui avevano ricorso due coniugi di quel Paese impossibilitati all'inseminazione artificiale eteronoma (cioé con un gamete esterno alla coppia stessa) perché vietata dalla locale legislazione - non è stata infatti condannata per presunta violazione dell'articolo 8 della Convenzione ("Diritto al rispetto della vita privata e familiare").
In Italia, come noto, vige la stessa norma dell'Austria riguardo alla fecondazione eterologa. La legge 40 infatti ne vieta in modo assoluto l'utilizzo e questo non ha mancato di generare anche nel nostro Paese ricorsi ai tribunali. Attualmente ne sono pendenti tre, tutti in attesa di sentenza alla Corte Costituzionale che, a sua volta, aveva sospeso la decisione in attesa della statuizione della Corte di Strasburgo.
La Grande Chambre, a cui erano ricorsi in appello vari Stati tra cui l'Austria stessa e l'Italia dopo che l'istanza di primo grado aveva dato ragione ai coniugi ricorrenti, pone, secondo il Centro di bioetica dell'Università Cattolica, «un freno alla forzatura dei diritti dell'uomo che sono spesso stati fatti coincidere con i desideri e la volontà dei singoli e offre l'occasione per mettere in luce rilevanti aspetti giuridici e antropologici connessi al tema della famiglia».
«Sono assai soddisfatto per l'odierna decisione della Corte europea che riconosce agli Stati la libertà di vietare la fecondazione eterologa», ha commentato invece Carlo Casini, parlamentare europeo e presidente del Movimento per la vita. «E la soddisfazione è ancora maggiore perché il Movimento per la vita italiano era intervenuto nel processo a sostegno dell’Austria», ha aggiunto. «La Corte europea riconosce agli Stati la libertà di decidere autonomamente in materia di famiglia e di vita e perciò implicitamente respinge l'idea che esista un diritto al figlio come diritto umano fondamentale. In realtà i giudici non si sono completamente allineati a una risoluzione del Parlamento europeo del 1989, per la quale l’orientamento corretto è quello che i figli, fin dal concepimento, hanno diritto alla vita, alla famiglia ed alla identità e che perciò ingiuste e da rimuovere sono le leggi nazionali che questi diritti violano. Tuttavia è già questo un ottimo risultato».
Stefano Stimamiglio