16/09/2011
La notizia è che il Tribunale per i minori di Torino ha dichiarato adottabile una bimba di un anno e mezzo togliendola ai genitori naturali perché troppo anziani. Il padre, infatti, ha 70 anni e la madre 57. E subito si scatenano i commenti di chi grida allo scandalo e riparte con la battaglia del “diritto al figlio” prima di attendere di conoscere tutte le motivazioni di una decisione, che (come sa bene chi si occupa di adozione per motivi di professione o di impegno volontario), arriva sempre dopo lunghe indagini e approfondimenti. Anzi, una critica non rara nei confronti dei giudici è di essere tardivi e tiepidi nel prenderla.
La bambina si trova in affido da quando aveva un mese, per la decisione del Tribunale dei minori a seguito di una segnalazione dei vicini della coppia che avevano sentito piangere la piccola, lasciata sola nell’auto del padre. Ma, nell’attesa che abbia corso il procedimento penale per quell’episodio e il ricorso annunciato dall’avvocato della coppia, val la pena di raccogliere lo spunto alla riflessione dato da alcune frasi della sentenza che sottolinea “l’applicazione distorta delle enormi possibilità offerte dal progresso in materia genetica “.
“I genitori non si sono mai seriamente posti domande in merito al fatto che la figlia si ritroverà orfana in giovane età e prima ancora sarà costretta a curare i genitori anziani, che potrebbero avere patologie più o meno invalidanti, proprio nel momento in cui, giovane adulta, avrà bisogno del sostegno dei suoi genitori” scrivono i giudici'. Un’analisi confermata dalla consulente tecnica, secondo la quale 'il dato della differenza d'età per i genitori non assume alcuna rilevanza, essendo secondario rispetto all'appagamento del bisogno narcisistico di avere un bambino.
Sposati da 21 anni, i due genitori avevano tentato più di una volta la via dell’adozione non ottenendo l’idoneità a diventare genitori adottivi e, dopo una serie di tentativi con la fecondazione assistita in Italia non riusciti, si sono rivolti all’estero dove tra l'altro sono contemplate alcune metodiche vietate in Italia dalla legge 40, ad esempio l'inseminazione eterologa (cioè usando l'ovulo di un'altra donna o lo sperma di un altro uomo) una scelta che, se spinta oltre certi limiti, come hanno scritto i giudici, “ si fonda sulla volontà di onnipotenza, sul desiderio di soddisfare a tutti i costi i propri bisogni che necessariamente implicano l'accantonamento delle leggi di natura e una certa indifferenza rispetto alla prospettiva del bambino'.
Ma è proprio sulla prospettiva del bambino che si dovrebbe riflettere di più, prima di mettersi in certi percorsi resi disponibili da un mercato che spesso non guarda all’interesse dei futuri figli e che non di rado favorisce una pubblicistica rosea in cui tutti i sogni sono realizzabili anche a costo delle sofferenze delle persone coinvolte (coppie comprese).
L’articolo 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo (onu, 20 novembre 1989) recita così “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. Ma anche chi desidera un figlio dovrebbe in prima persona fare i conti con il senso di responsabilità di fronte a chi verrà il mondo, una responsabilità che è molto di più del semplice desiderio e della semplice tenerezza affettiva.
Al di là di quale sarà l’iter giudiziario e il giudizio finale sul singolo caso, le domande sollevate dai giudici non possono essere eluse tacciando di “pregiudizi” chi le pone: è giusto che non ci siano limiti di età per mettere al mondo un figlio? Un uomo di 70 anni, ma anche di più, e una donna di 60, o anche di più, non deve riflettere sulla sua aspettativa di vita e capacità di crescere un bambino? Non ci deve essere alcun limite e, se sì, quale? proprio vero che chi fa il nonno può ugualmente fare il genitore? Si può pensare al diritto a un figlio a qualsiasi costo? La legge 40 che alcuni definiscono “punitiva” in sintesi dice: se proprio si ritiene necessario ricorrere alla procreazione artificiale, almeno si deve lasciare ad ogni figlio una possibilità di vita e gli si devono garantire un padre e una madre veri in tutti i sensi, conoscibili e conosciuti e prevedibilmente idonei ad allevare i figli in unione tra loro. Siamo convinti che sia chiedere troppo?
Renata Maderna