02/02/2013
Antonella Diegoli, presidente del Movimento per la Vita dell'Emilia Romagna (foto Tosatto).
«Non è forse un segno di incertezza la grave difficoltà nel “fare famiglia”, a causa di condizioni di precarietà che influenzano la visione della vita e i rapporti interpersonali, suscitano inquietudine e portano a rimandare le scelte definitive e, quindi, la trasmissione della vita all’interno della coppia coniugale e della famiglia?», si chiedono i vescovi italiani nel loro messaggio per la 35^ Giornata nazionale per la Vita, che verrà celebrata in tutta Italia domenica 3 febbraio (clicca qui per leggere il messaggio). E se una prima risposta – anche in chiave di proposta politica in vista delle prossime elezioni politiche – consiste nel non «richiedere ulteriori sacrifici alle famiglie che, al contrario, necessitano di politiche di sostegno, anche nella direzione di un deciso alleggerimento fiscale», la vera chiave è, secondo i vescovi, il «bisogno di riconfermare il valore fondamentale della vita, di riscoprire e tutelare le primarie relazioni tra le persone, in particolare quelle familiari, che hanno nella dinamica del dono il loro carattere peculiare e insostituibile per la crescita della persona e lo sviluppo della società».
Simona Beretta, docente di Politica Economica presso l’Università
Cattolica del Sacro Cuore, in riferimento al rapporto crisi
economica-mancanza di figli di cui parla il messaggio dei vescovi, ha
commentato:«Generare figli e produrre ricchezza si somigliano molto
perché sono decisioni tipicamente umane che investono tutta la nostra
libertà, entrambe richiedono persone interessate al futuro, capSaci di
sostenere dei rischi e di creare legami durevoli, di essere pienamente
come ci ha fatti il Creatore, cioè, appunto, “creative”». Fattore
decisivo per “mettere su” famiglia e impresa, in due parole, occorre
voler giocarsi la propria vita, andare dietro a quel desiderio di
pienezza che ci abita.
Non mancano qui i tanti segni di solidarietà che accompagnano la nostra esperienza quotidiana, fra cui molto significativo, quello della vicinanza in occasione del grave terremoto dell’Emilia. Cogliendo questo prezioso riferimento, Famiglia Cristiana ha dedicato questa settimana il servizio di copertina proprio all’esperienza degli aiuti che si sono sviluppati intorno ai Centri di Aiuto alla Vita dell’Emilia Romagna. «Il terremoto ci ha fatto scoprire che fra gli uomini esistono legami forti, soprattutto quando condividono un obiettivo comune», ha detto a Famiglia Cristiana Antonella Diegoli, presidente del Movimento per la vita regionale, che coordina una quarantina di realtà a servizio della vita nascente. «Il terremoto è come un’onda che non esce più da te, soprattutto per una donna incinta che ha paura di perdere il suo bambino mentre nel cuore della notte tutto all’improvviso cade a terra e i muri si aprono». Sono così scattate subito due iniziative: «Un pronto soccorso emozionale per aiutarle a gestire le loro emozioni e l’impianto di un ecografo per “far vedere” i loro bambini alle donne che, a causa dello stress emotivo, non li sentivano più».
«Siamo scappati subito tutti fuori casa», racconta Lisetta Spinelli, 41 anni, sposata con Davide e 6 figli di cui l’ultimo, Leo Maria, nato a un mese dal terremoto (nella foto della cover i due genitori e l'ultimo nato). La famiglia abita a poche centinaia di metri dall’epicentro del sisma. «La pancia ormai si era abbassata e ogni momento poteva essere quello buono per partorire: ho pregato Dio che non fosse quella notte». La casa non ha subito danni, a parte molti mobili rovesciati e suppellettili cadute a terra. «Passata la sorpresa delle prime scosse ho cercato di gestire con calma la mia maternità, mi sono rifiutata di lasciare il paese e di darla vinta al terremoto. Abbiamo dormito per diverse notti in un camper che ci hanno prestato», dice Lisetta, che ha poi partorito un mese dopo Leo Maria in modo avventuroso: nel viaggio verso l'ospedale con il marito Davide ha fatto un incidente stradale, per fortuna senza gravi conseguenze per nessuno. «Ho subito capito che il bambino era vivo, avevo solo il braccio rotto». Il secondo nome del piccolo Leo Maria lo ha voluto proprio lei subito dopo il parto per ringraziare la Vergine di aver protetto lei e la sua famiglia numerosa in quelle settimane travagliate.
Stefano Stimamiglio