07/07/2010
La prima "Culla per la vita" aperta a Milano nel 2007 presso la clinica Mangiagalli.
Abbandonare un figlio subito dopo la nascita, liberarsi di quel fagottino che, magari nell'emergenza di un parto fatto in casa alla bell'e meglio e sotto l'influsso di un'emozione sovrastante, pare minacciare terribilmente il suo destino, il suo futuro, magari di immigrata clandestina. Ieri come oggi la società si trova a rispondere al dramma di una madre che non vuole, anche per i più disparati motivi che possono variare nei secoli, il suo bimbo. Il drammatico esito che ha talvolta l'abbandono del neonato, in molti casi la morte, non deve far dimenticare che la legge garantisce l'anonimato e la tutela delle madri che non desiderano tenere il loro bimbo, permettendo loro di partorire in ospedale e di non riconoscere il figlio, che sarà poi subito destinato all'adozione.
Il problema dell'abbandono degli infanti non è ovviamente nato oggi: la prima Ruota degli esposti nasce infatti in Francia, a Marsiglia, nel 1188 per rispondere proprio a questo drammatico fatto sociale ed è seguita (è il caso di dirlo...) "a ruota" da altre città transalpine. La tradizione, poi, narra che fu Papa Innocenzo III a istituire a Roma una ruota solo 10 anni più tardi, nel 1198, presso l'ospedale di Santo Spirito in Sassia, vicino alla Basilica Vaticana. Pare infatti che il Pontefice fosse talmente turbato da terribili incubi in cui apparivano neonati ripescati morti nel Tevere da agire in prima persona con la costruzione di questo rudimentale, ma efficace meccanismo cilindrico, girevole e in legno, dove abbandonare per sempre il proprio bimbo facendo semplicemente girare la ruota. Il suono della campanella avvertiva poi il personale interno dell'ospedale (o più tardi del convento) che l'atteso "ospite" era arrivato.
La ruota degli innocenti, oggi riadattata secondo le tecniche più moderne in una culla termica protetta da una porta a scorrimento, senza telecamere per garantire la privacy della madre e con un dispositivo elettronico che avverte istantaneamente il personale del Pronto Soccorso, ha conosciuto il primo caso di bimbo salvato in epoca recente nel febbraio 2007 presso il Policlinico Casilino di Roma. Ma in queste ultime settimane, per il moltiplicarsi delle iniziative soprattutto a opera del Movimento per la Vita (da ultimo a fine giugno all'ospedale di Cremona, ma sono ben 34 le città italiane dove il Mpv ha provveduto a far installare la culla termica), la questione è tornata a far dibattere. Forse perchè anche le istituzioni paiono cominciare a muoversi in questa direzione: le farmacie comunali di Roma (42 in tutto) sembrano infatti intenzionate ad apprestare nei propri locali il singolare apparecchio. Per ora è partita la farmacia di proprietà del Comune situata nel quartiere Prenestino.
Come sempre le opinioni divergono in materia. Carlo Casini, il Presidente del Movimento per la Vita, ne è ovviamente entusiasta, se non altro per il suo effetto simbolico e di memoria, e definisce la culla termica come «un monumento che sta a ricordarci che i bambini non possono essere buttati via. E' la società infatti che deve farsene carico e accoglierli, soprattutto quando le madri non riescono a farlo».
Di tutt'altro parere L'Anfaa, l'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, che le ritiene una facile scorciatoia e sottolinea invece il dovere di assistenza per le donne in gravidanza da parte delle strutture pubbliche. In un comunicato ufficiale l'associazione precisa che «la realizzazione delle culle, in alternativa alle prestazioni obbligatorie assegnate al settore pubblico dalla legge n. 2838/1928, richiamata dalla legge n. 328/2000, parte dalla considerazione che le gestanti con gravi difficoltà personali non hanno alcuna esigenza dal momento della gestazione fino al parto. Invece esse e i nascituri devono, come tutte le altre gestanti, essere seguite sotto il profilo sanitario; inoltre esse devono essere prese in carico ed accompagnate dai servizi sociali di cui alla succitata legge, per poter decidere responsabilmente se riconoscere o non riconoscere i loro nati. Va anche sottolineato che per una adeguata protezione sanitaria e sociale di queste donne e del neonato anche i parti devono avvenire in ospedale; avvenuto il parto, nei casi in cui il neonato non venga riconosciuto, compete all’ospedale garantire la totale segretezza relativa alle generalità della partoriente e provvedere alla immediata segnalazione al Tribunale per i minorenni per la dichiarazione dello stato di adottabilità del piccolo che così, a pochi giorni dalla nascita, viene inserito nella famiglia adottiva scelta dal Tribunale fra quelle che hanno presentato domanda di adozione».
Come spesso accade, tuttavia, delle buoni leggi non vengono applicate, lasciando molte donne, in tanti casi ignare anche dei propi diritti, abbandonate ad una disperazione che porta a gesti estremi. Ed è in questi casi (a differenza dei molti intercettati dai Centri di aiuto alla vita prima che avvega il dramma) che anche una ruota può salvare la vita di un bambino.
Stefano Stimamiglio