La morale degli embrioni perduti

All'ospedale San Filippo Neri di Roma un guasto causa la perdota di quasi cento embrioni. La loro crioconservazione vietata dalla legge 40, è stata reintrodotta nel 2009 dalla Consulta.

02/04/2012
L'ospedale San Filippo Neri di Roma (foto Ansa).
L'ospedale San Filippo Neri di Roma (foto Ansa).

La vicenda, unica nel suo genere, ha fatto subito il giro del mondo. Un guasto all’impianto di azoto liquido per la crioconservazione di materiale biologico all’ospedale San Filippo Neri di Roma ha causato sabato scorso la distruzione irreversibile di 94 embrioni, 130 ovociti e sei campioni di liquido seminale. L’evento, su cui è subito partita un’inchiesta del ministro della sanità Renato Balduzzi, ha, dal punto di vista tecnico, molti punti oscuri da chiarire: i bidoni alimentati da azoto liquido per mantenere la temperatura impiegano infatti molte ore per svuotarsi e qualcuno, la ditta che ha in appalto gli impianti o il personale di servizio dell’ospedale, avrebbe dovuto accorgersene in tempo. Gli ispettori ministeriali chiariranno forse i molti dubbi. Ma non saranno i soli ad occuparsi della vicenda: i titolari (si può parlare di “proprietari”?) dei gameti e degli embrioni, disperati, hanno già annunziato azioni legali e allora saranno anche i giudici a dover stabilire, pur nei tempi biblici della nostra giustizia, colpe e danni. Il direttore sanitario del nosocomio romano declina già ogni responsabilità e ascrive il fatto alla ditta appaltatrice, da cui attende una spiegazione dei fatti.

La legge 40 del 2004 intitolata “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” in origine contemplava il limite massimo di tre embrioni per ogni ciclo e il divieto di crioconservazione, «salvo causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione». La Corte costituzionale con una declaratoria di incostituzionalità nel 2009 ha di fatto eliminato il limite di tre embrioni (pur mantenendo la barriera di un numero non superiore a quello strettamente necessario) e liberalizzato il differimento dell’impianto, aprendo dunque di fatto la via alla loro conservazione in frigo. Il rischio che il legislatore della legge 40 intravedeva nella loro crioconservazione era il danneggiamento – dopo circa 15 anni perdono il loro potenziale di vita – e l’abbandono dopo la perdita di interesse dei genitori a impiantarli per i motivi più vari, non ultimo il successo di un trattamento precedente con la nascita di un figlio. A questi pericoli ora dobbiamo tristemente aggiungere anche gli incidenti tecnici dovuti a guasti o incuria.

Rimane un retrogusto amaro al fondo di questa triste vicenda. Un piccolo esercito di embrioni, di persone umane, sono andate distrutte. Non ci saranno funerali, solo polemiche, scaricabarile e cause legali milionarie. Qualcuno avrà qualche minuto per pensare che quel limite sulla crioconservazione alla fine un suo senso ce l’aveva?

Stefano Stimamiglio
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