14/09/2011
«L’ospedale resta un caposaldo della sanità pubblica. In Italia i passaggi in Pronto soccorso sono più di 21 milioni all’anno, di essi il 17,3% esitano in un ricovero ospedaliero. Tra gli ultrasessantacinquenni, uno su tre che si presenta necessita di ricovero ospedaliero, mentre solo uno su dieci soggetti di età inferiore ai 65 anni viene ricoverato. Circa il 40,5% dei degenti in ospedale sono anziani».
Sono dati provenienti dalla “Relazione sullo stato sanitario del Paese 2007-2008” e sono stati riportati in un articolo di Carlo Vergani pubblicato sul Giornale di Gerontologia.
L’attesa dell’anziano in astanteria è considerevolmente più lungo che non quella delle persone più giovane. Molteplici i motivi: sono più lunghi i tempi fra la prima e ultima indagine di accertamento, ma anche il deterioramento cognitivo e/o lo stato confusionale che comporta il passaggio in Pronto soccorso per tante persone anziane rendono più difficile la diagnosi e le conseguenti indicazioni terapeutiche. Inoltre, le poli-patologie nell’anziano richiedono spesso il supporto di dati ed esami aggiuntivi, e rendono più complesse le interpretazioni in quanto i vari esiti sono connesse fra loro.
Se si decide per il ricovero, si presenta il problema dei posti letto, e le perplessità aumentano quando ci si trova in presenza di patologie croniche.
D’altra parte, dimettendo il paziente ci si deve spesso confrontare con condizioni socio-ambientali e familiari non idonee. Il fenomeno dell’anziano che passa dal Pronto soccorso a casa e da casa al Pronto soccorso è chiamato dagli addetti ai lavori revolving doors (porte girevoli). Il nocciolo del fenomeno è la costante presenza di bisogni per i quali non sempre è possibile organizzare una risposta.
L’Ospedale Policlinico di Milano ha seguito con cure geriatriche ambulatoriali un certo numero di pazienti di età superiore ai 75 anni, per i quali era stata decisa la dimissione. Questa prassi ha diminuito il non trascurabile rischio di malnutrizione, ha dimezzato ulteriori ricorsi al pronto soccorso e ridotto anche lo stress del caregiver.
Nel reparto di geriatria il 70 % dei pazienti ha un’età superiore agli 80 anni, e la degenza media è di 11,5 giorni, cioè 4 giorni in più della media nazionale dei ricoveri, ma inferiore alla durata di degenza degli anziani nei reparti di medicina interna. Infatti, diversamente che nei reparti di medicina, al momento del ricovero in geriatria si attiva il Servizio sociale dell’ospedale, che in collaborazione con l’équipe programma una dimissione protetta, eventualmente passaggi in riabilitazione o altre strutture intermedie, oppure prevede cure a domicilio.
In questo quadro, si segnala una particolare criticità: l’ospedale non è inserito nella rete dei servizi sul territorio. Il momento del ricovero sembra un evento a se stante, il paziente entra senza la sua storia particolare, “il mondo” resta fuori. Analogamente, al momento della dimissione generalmente l’ospedale, che ritiene di aver compiuto la sua missione, si disinteressa della persona dimessa. Manca quindi la presa in carico del paziente nella sua globalità e della sua storia personale, e questa secondo Vergani è una grande anomalia, in una società che invecchia.
Interventi troppo standardizzati possono non rispondere all’effettivo bisogno, ma comportano anche ulteriori sofferenze: ogni anno in Italia nove mila persone muoiono per quello che si chiama genericamente “malato per definizione” (ill defined condition), che in sostanza vuol dire lasciarsi andare, non avere più voglia di vivere.
Vergani C., L’anziano e l’ospedale, Giornale di gerontologia, n. 1, 2011.
Consultabile presso Centro Documentazione Cisf.
Harma Keen, Cisf