12/06/2010
«La legge 40 sulla fecondazione assistita non è aggressiva», ha dichiarato di recente il Sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella (foto) presentando i dati del 2008: i nati vivi in quell'anno sono stati 10.212, oltre il doppio del 2005, il primo anno di applicazione della legge, dove i bimbi concepiti in provetta erano 4.940.
Aumentano dunque le nascite e le coppie trattate, segno, lascia intendere l'esponente del governo, di un sostanziale successo della legge nonostante le tante critiche che piovono addosso alla legge a causa delle sue restrizioni.
La legge 40 del febbraio 2004 è stato il primo provvedimento del nostro Paese per regolamentare la cosidetta "fecondazione assistita" a favore di coppie che non riescano ad avere figli. Un aiuto fornito dal laboratorio per concepire in provetta l'embrione e permettere, attraverso il suo successivo impianto nell'utero materno, la gravidanza.
Naturalmente la legge, che regola una materia che si presta per sua natura a molte obiezioni dal punto di vista etico, prevedeva diverse limitazioni, come la sua applicabilità solo a «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età
potenzialmente fertile, entrambi viventi» (art. 5), escluse quindi le coppie omosessuali o troppo anziane, e il divieto della fecondazione eterologa, con l'utilizzo cioè di un gamete esterno alla coppia. O, ancora, il divieto di creazione di un numero di
embrioni «superiore a quello strettamente necessario a un unico impianto,
cioè tre al massimo», con «l'obbligo di impianto di tutti gli embrioni» (Art. 14), anche se quest'ultima disposizione è stata dichiarata incostituzionale
da una sentenza della Consulta.
Un dato, infine, preoccupa secondo Roccella: l'aumento dell'età media delle donne che
chiedono l'uso delle tecniche di fecondazione assistita passata dai 36
anni del 2007 ai 36,1 del 2008.
Stefano Stimamiglio