La settimana del gioco in scatola

Al via la seconda edizione dell'iniziativa che coinvolge tanti comuni con l’obiettivo di divertirsi in compagnia. Il gioco non è un passatempo: ha una matrice emotiva e relazionale.

12/11/2012

Chi non ha mai desiderato, da bambino, di immergersi in un Monopoli  gigante e trascorrere lì delle ore insieme a mamma e papà? Oggi tutto questo sarà possibile nella Capitale che ospiterà versioni extralarge di giochi da tavolo, grandi fino a 150 metri quadri,  dove grandi e piccini potranno dedicarsi allo svago e alla condivisione in formato super. Con questa iniziativa prende il via in tutta Italia una otto giorni dedicata al divertimento: la seconda edizione della "Settimana del gioco in scatola", che dal 10 novembre, coinvolge tanti comuni dello Stivale con l’obiettivo di accumulare ore di divertimento in compagnia dei giochi da tavolo. Scuole, oratori, ludoteche, locali, diventeranno così scenario di partite condivise e a ogni sfida verrà assegnato un punteggio legato non a chi vince o a chi perde, ma alle ore trascorse insieme.





Ogni comune ha scelto un arbitro addetto al conteggio  e al termine della settimana sarà nominata Città del Gioco 2012 quella che riuscirà a realizzare le sfide più lunghe. In palio una grande quantità di giochi per allestire la ludoteca più grande d’Italia. Ma vincere non sarà così semplice: i dati Istat pubblicati nel febbraio di quest’anno dicono, infatti, che meno del 18% del tempo di una persona con età superiore ai 15 anni è occupato dalle attività dedicate al tempo libero, solo il 13% del tempo degli adulti tra i 25 e i 44 anni. E anche l’indagine “Genitori in gioco” realizzata dalla Bottega dell’educare della Onlus Pepita (cooperativa sociale che si occupa di progetti educativi in tutta Italia) in occasione della seconda edizione della Settimana del Gioco in scatola parla chiaro: circa  il 70% dei genitori italiani ritiene di trascorrere abbastanza tempo con i propri figli, ma in media dedica loro due ore al giorno, per lo più concentrate alla sera e nel fine settimana; solo trenta i minuti dedicati al gioco per il  53,7% di madri e padri. Dal campione preso in esame, circa 500 genitori provenienti da diverse regioni italiane e con un età media di 39 anni, emerge che  tra le attività svolte insieme, giocare si piazza al penultimo posto, in cima c’è guardare la Tv. Inoltre solo il 19,63% dei genitori ritiene il gioco educativo e se a papà e mamma  venisse regalata un’ora in più al giorno solo il 23,4% la utilizzerebbe per giocare con i proprio figli.

Ma sarà la qualità del tempo più importante della quantità? «Direi di no, senza dubbio contano tutte e due», spiega Alessandra Carenzio, pedagogista, che svolge attività  di ricerca e formazione presso il CREMIT, Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media e alla Tecnologia,  e insegna all’Università cattolica di Milano e di Piacenza.  «Dedicare solo una piccola parte del tempo serale alla relazione ludica è troppo poco. Ma probabilmente gli intervistati pensano al gioco come quel momento in cui si sta insieme con dei giocattoli o delle costruzioni in mano. In realtà il gioco è un meccanismo d’incontro anche non strutturato, senza etichetta: giochiamo  mentre vestiamo nostro figlio cantandogli una canzone, quando per farlo mangiare facciamo l’aeroplano. Occorre educare i genitori a capire che il gioco è un atteggiamento. Si può insegnare la disciplina, ad esempio l’andare a letto alle nove, raccontando una favola e facendo le voci». Ma non è così semplice, c’è chi non sa come fare: «La società non aiuta: mancano spazi nella città dove si possa imparare a stare insieme giocando e quelli che ci sono, la maggior parte delle volte, diventano parcheggi dove si delega agli educatori e manca la copresenza  con i genitori. In fondo per dedicare più tempo al gioco basta poco, magari recuperarne il lato affettivo, pensare a quello che si faceva da piccoli, al valore storico di giochi e giocattoli. Il gioco non è un passatempo: ha una matrice emotiva, relazionale, cognitiva, di crescita e di sfida. Per il bambino, poi, è un lavoro, impegnativo».



Ma la Tv? Può avere uno spazio o bisogna spegnerla? «Diventa un gioco  se la si guarda con il proprio figlio,  gli si racconto quello che succede e magari poi si parte da quello che si è visto per far fare un disegno. Diverso è se lo si mette davanti alla Tv e si fa altro o si sta lì seduti ma si va su Facebook. La Tv va usata come stimolo e sedersi a fianco non deve essere solo un atteggiamento di prossimità fisica, ma anche emotiva». Perché in fondo il gioco non è necessario solo ai piccoli: «È un atteggiamento, un elemento costitutivo della vita di tutti. Occorre uscire dalla logica che vede il gioco come perdita di tempo e lo contrappone al lavoro: si pensa che sia un’attività riservata ai bambini, concessa  agli adulti solamente in momenti particolari. Piuttosto è una postura, quello ludico è un atteggiamento di conoscenza del mondo, non una cornice, ma un modo di leggere e attraversare la realtà».

Maria Gallelli
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