17/11/2011
74esima posizione su 135 paesi, non proprio un’eccellente risultato quello ottenuto dall’Italia nel “Global Gender Gap Report 2011′, l’indagine condotta dal World Economic Forum a livello mondiale sull’equità di genere nei quattro settori principali della società, economia, politica, istruzione e salute. Qualcuno potrebbe commentare “si sapeva”.
Prima di noi paesi come Germania (11esima), Spagna (12esima), Regno Unito (16esimo), Usa (17esimi), Francia (48esima) e Grecia (56esima), mentre ai primi posti si confermano Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia, Irlanda e Nuova Zelanda. Fra le nazioni europee, dunque, siamo tra i fanalini di coda, in particolare per il fattore “opportunità e partecipazione alla vita economica” (90esimo posto) e salute (75sima posizione). Addirittura Bangladesh (69esimo), Ghana (70esimo) e Perù (73esimo) occupano posizioni migliori rispetto alla nostra. Per ultimi, Ciad e Yemen.
Naturalmente, nel confronto uomo-donna il genere penalizzato è quello femminile: se pensiamo che per il settore economico si considerano ai fini della valutazione la composizione della forza lavoro, le differenze retributive e gli avanzamenti di carriera la spiegazione è presto data. Il problema è che studi complessi e articolati hanno dimostrato la stretta relazione fra l’uguaglianza di genere, il livello di competitività e produttività, e quindi il prodotto interno lordo e addirittura il livello di sviluppo umano. In poche parole, se aumentasse il potere dato alle donne e dunque diminuisse la disuguaglianza di genere, migliorerebbe perfino la crescita economica del Paese.
Giudizio azzardato? Sembra proprio di no e il cosiddetto “Rapporto
Ombra” del CEDAW, la “Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme
di discriminazione contro le donne” voluta dall’Onu, lo conferma per
l’Italia. Nato per evidenziare meglio le mancanze nella promozione dei
diritti delle donne nel nostro Paese rispetto al rapporto ufficiale
presentato sulle misure adottate per attuare le disposizioni della
Convenzione CEDAW, ha tradotto bene in termini di violazione dei diritti
fondamentali delle donne tutto quello che accade sul fronte delle “non
pari” opportunità. Il quadro che emerge dell’Italia è veramente poco
incoraggiante: una donna su due è inattiva e non cerca lavoro
(48,9%). Il tasso di occupazione femminile è del 46%, ma al sud scende
al 30,6%, e lo stipendio è circa il 22% in meno circa di quello dei
colleghi maschi. Lavoro e maternità sono più inconciliabili che in
qualsiasi altro paese europeo: un quarto delle donne abbandona il lavoro
dopo la maternità. Sono meno le donne lavoratrici che maturano una
pensione rispetto ai lavoratori uomini, e questa pensione è in media più
bassa del 30%.
Le raccomandazioni Onu, dunque, sono solo l'inizio di un percorso dove
l’impegno che le istituzioni devono garantire su questo versante è
imprescindibile. Il fattore di sviluppo per la società rappresentato
dall’universo femminile, in Italia, non viene ad oggi adeguatamente
valorizzato e, senza dubbio, in quei Paesi dove la differenza fra i
sessi è minore hanno giocato a favore strategie politiche basate sulla
valorizzazione dei talenti, sulla competitività e sull’annullamento di
qualsiasi forma di discriminazione di genere.
Alessandra Turchetti