08/07/2011
Arteterapia, cinematerapia, musicoterapia, danzaterapia… ma se si parlasse di “preghiera-terapia”? Da tempo si sostiene e si documenta che pregare fa bene ma un nuovo studio condotto all’Università americana del Winsconsin-Madison, effettuato su 97 donne colpite da cancro alla mammella, ha ulteriormente convalidato questa tesi. I benefici finora accertati riguardavano soprattutto il distretto cardiocircolatorio in termini di diminuzione della pressione e del battito cardiaco, nonché la sfera delle neuroscienze, mentre in oncologia si sapeva che un atteggiamento positivo e ottimista, nonché fiducioso, aiuta il paziente ad affrontare la malattia.
Questa ricerca è molto significativa in tal senso. «Conosciamo molti malati di cancro che cercano sostegno nella preghiera», ha spiegato il coordinatore dello studio Bret Shaw. «Il nostro è il primo lavoro che esamina effetti psicologici ed eventuali ripercussioni sul loro comportamento». La particolarità dell’indagine è che sono state considerate nuove modalità di affidamento alla preghiera, ad esempio on line. Le pazienti sono state monitorate prima della partecipazione a questi momenti di preghiera via computer e quattro mesi dopo, attraverso l’ausilio di un supporto informatico condiviso. Analizzando quante volte le parole “Dio”, “Santo”, “adorare” ed altre inerenti alla fede erano presenti nelle comunicazioni di gruppo relative alle pratiche religiose adottate, l’alta percentuale riscontrata di questi termini è stata associata nelle pazienti ad una diminuzione del livello di emozioni negative e di stress riportato e, nel complesso, ad un maggior senso di benessere interiore collegato alla capacità di vedere la propria situazione in maniera meno drammatica.
Del resto, questo riscontro si è avuto anche in altri ambiti, ad esempio nella problematica di riabilitazione dopo ictus, come è stato visto presso il centro di riabilitazione dell’Ospedale San Raffaele Pisana di Roma. Su 132 pazienti colpiti da ictus, con età media di 72 anni, ha avuto una migliore ripresa chi è religioso e attivo all’interno di una comunità dove è possibile anche ricevere aiuti concreti e sentirsi assistiti, quindi meno soli.
Ma una dimostrazione ulteriore che la preghiera ha grandi effetti benefici sul cervello arriva anche dall’Ospedale San Camillo di Roma dove la neuroradiologa Adriana Gini sta studiando come «la pratica del silenzio, la meditazione e l’orazione favoriscono le aree cerebrali che portano ad atteggiamenti più pazienti e altruistici». Infine, una curiosità. In America, in alcuni contratti stipulati da agenzie di assicurazione sul fronte vita e salute, il premio è addirittura ridotto verso coloro che appartengono ad associazioni religiose, come se la fede fosse essa stessa un’assicurazione. Senza ricorrere a questi eccessi, di sicuro la scienza continua a dimostrare che, anche sul fronte della preghiera, il legame fra anima e corpo è indissolubile ed aiuta, quando possibile, a guarire o, comunque, a gestire meglio la propria malattia.
Alessandra Turchetti