06/05/2010
L'affido prevede una scelta generosa da parte di una famiglia che offre a un minore, per un certo periodo di tempo, casa, cure e amore.
Per la prima volta in Italia il numero degli affidi familiari di minori ha superato il numero di minori ospitati nelle cosiddette “comunità educative”: 16.800 contro 15.600. Ma qui finiscono le notizie positive. L’istituto dell’affido, infatti, nato come strumento d’accoglienza temporanea in una famiglia (la legge prevede due anni, salvo proroghe), troppo spesso si prolunga “sine die”, a volte fino al raggiungimento della maggiore età, trasformandosi in un vero e proprio “limbo”, in cui il minore è sospeso tra la possibilità di tornare nella sua famiglia d’origine, e quella dell’adozione. Un'inchiesta sul numero di Famiglia Cristiana in uscita questa settimana racconta le storie di chi ha accolto in casa bambini in affido, e fa il punto su questo istituto.
I numeri parlano chiaro: il 57 per cento dei minori "fuori famiglia" vive nelle famiglie affidatarie da oltre due anni e il 37 per cento da oltre quattro. Insomma l’eccezione è diventata la regola. In che modo si può recuperare l’efficacia di quello che è nato come un prezioso aiuto al bambino di una famiglia in difficoltà, e un sostegno alla stessa famiglia d’origine? Di recente più d’una associazione che si occupa di infanzia abbandonata ha aperto il dibattito su una possibile riforma della legge che norma l’affido nel nostro Paese (la n.184 del 1983, con le modifiche apportate dalla legge 149 del 2001).
Ai.Bi. (Amici dei Bambini) ha già steso il testo di una proposta di riforma che prevede: il ripristino dei limiti di tempo definiti dalla legge, il riconoscimento giuridico delle “case-famiglia”, e la chiusura di tutte le comunità educative entro il 2015. L’associazione “La Gabbianella” chiede, invece, che in caso di adottabilità del minore in affidamento venga in qualche modo garantita la “continuità affettiva” e i rapporti instauratisi con la famiglia affidataria.
«In effetti gli affidi “sine die” vanno contro lo spirito della legge che dispone un collocamento temporaneo breve. Una riforma della normativa deve partire comunque sempre dalle esigenze del minore e dal dato di fatto che sono aumentate le difficoltà del rientro nella famiglia d’origine», commenta Samantha Tedesco, responsabile dei programmi svliluppo di “Sos Villaggi dei Bambini Italia” che, pur condividendo le preoccupazioni di Ai.Bi., ribadisce, però, l’importanza della funzione delle strutture educative che ospitano i minori “fuori famiglia”: «E’ necessaria l’apertura di un tavolo di discussione con le istituzioni che affronti il problema nel suo complesso. Bisogna anzitutto contrastare i tagli al welfare e alle risorse per le politiche sociali degli enti locali, che hanno drammaticamente colpito proprio i sostegni alle famiglie in difficoltà».
In Italia, SOS Villaggi dei Bambini accoglie nelle case tradizionali 191 minorenni e 2 ragazzi maggiorenni. Le case del giovane ospitano 37 minorenni e 7 maggiorenni. Le “case mamme” con bambino ospitano 16 minorenni e 13 mamme naturali. Gli appartamenti autonomia contano, infine, 19 maggiorenni.
Alberto Laggia