Università: i test e le proteste.

Studenti e famiglie preoccupati: le date dei test di ingresso rischiano di essere troppo vicine alla fine degli esami di maturità.

21/02/2013

A nulla sono servite le proteste delle associazioni degli studenti e anche di quelle dei consumatori (Codacons in testa). Da Bruxelles il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ha confermato la sua decisione, scatenando allarme e preoccupazione tra gli studenti dell’ultimo anno di scuola superiore e tra le loro famiglie: quest’anno i test di ingresso per le facoltà universitarie per le quali sono previsti si terranno a luglio, anziché, come di consueto, all’inizio di settembre. La ratio del provvedimento è quella di offrire un lasso di tempo maggiore per la programmazione del proprio futuro, sia agli atenei sia agli studenti stessi.

Questi ultimi, però, sono preoccupati, perché – affermano – le date dei test di ingresso rischiano di essere troppo vicine alla fine degli esami di maturità, non consentendo così un tempo adeguato per la preparazione a una prova considerata molto severa, visto che ogni anno “taglia le gambe” a migliaia di candidati. Il 23 luglio – ha confermato ieri Profumo – toccherà alle aspiranti matricole di Medicina, a seguire a quelle di Veterinaria, mentre il 25 sarà la volta di quelle di Architettura.

Una scelta – ha spiegato il ministro uscente – dettata da un impegno preso già lo scorso anno con l’Unione Europea, in modo che le date dei test italiani siano maggiormente in linea con quelle degli altri Paesi membri. Profumo ha anche annunciato che gli studenti avranno un “bonus” del 10% rispetto al totale delle prove, legato al voto di maturità, in modo che nel risultato finale entri anche una valutazione, seppure limitata, del precedente curriculum scolastico.

Una parte consistente degli studenti, però, contesta non solo l’anticipo delle date, ma anche tout court la presenza dei test di ingresso per determinati corsi di laurea. È previsto, di qui a due mesi, il pronunciamento della Corte Costituzionale in merito a un precedente ricorso, nel quale si sosteneva che tali test lederebbero un diritto costituzionalmente garantito, quello all’istruzione.

Tuttavia, va rilevato che nel resto d’Europa è prassi normale che vi sia un filtro numerico a un accesso indiscriminato all’università. Questo per un semplice motivo, facilmente intuibile da chiunque: un sovraffollamento di certe sedi rispetto ai posti disponibili sfocerebbe in un abbassamento del livello del servizio offerto ai ragazzi. Facciamo un esempio pratico: se un’aula o un laboratorio può contenere 100 studenti, qualora se ne iscrivessero 200 ci sarebbe qualche problema.

Gli studenti e le famiglie hanno però ragione da vendere su un punto, sul quale potrebbero forse più utilmente far confluire la protesta: più che rifiutare in blocco lo strumento dei test, converrebbe chiedere al governo (a questo ormai dimissionario, ma soprattutto, a questo punto, al prossimo che uscirà dalle imminenti votazioni politiche) maggiori investimenti in università e ricerca, settori pesantemente penalizzati dalle ultime leggi finanziarie, che hanno tagliato in modo drastico il fondo ordinario per il loro funzionamento. Soltanto così, infatti, è possibile garantire ai ragazzi la possibilità di studiare le discipline verso cui si sentono maggiormente portati, ma in condizioni materiali efficienti e accettabili.

Roberto Carnero
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