01/02/2013
E’ il mondo cattolico intero che si muove a favore dell’iniziativa Uno di noi, trasversalmente, per età e generi. Chiara Nardi ha 23 anni, studia Psicologia all’Università Pontificia Salesiana a Roma e non solo ha firmato la petizione europea a sostegno della dignità e dell’uguaglianza dell’embrione ma si impegna per promuovere il movimento e sensibilizzare gli altri. Perché?
«Perché credo nell’importanza di far capire che l’embrione è gia un essere umano. Come? Promuovendo l’iniziativa in parrocchia, la conoscenza di Uno di noi, facendo avvisi durante la messa e raccogliendo firme con un banco fuori dalla chiesa. Poi cercherò di portare il materiale anche in università».
- Qual è l’aspetto che più ti colpisce e che ti spinge a schierarti a favore della vita?
«L’aborto che io vedo come omicidio anche se è legale. Lo dico come donna ma anche come futura psicologa. Nel momento in cui la legge lo permette, spesso i medici non informano e non sono informati di quello che poi sarà lo stato psicologico della madre».
- Ti è capitato di vivere da vicino questa scelta?
«Sì, due volte. Al liceo, una ragazza in classe con me rimase incinta e decise di non portare avanti la gravidanza. Ultimamente una ragazza che frequento di 19 anni, invece, si è fatta aiutare e a gennaio è nato il bambino. Nel primo caso ho visto la sofferenza, nel secondo il coraggio e la soddisfazione di avercela fatta».
E poi c'è
Marina Mazzoneschi, 52 anni, fisioterapista, anche lei ha firmato. «Il tema della vita mi è molto caro, in questa occasione mi sembra possa avere importanza non solo per il piccolo concepito ma anche per l’uomo in generale. Da fisioterapista che ha a che fare con la disabilità anche molto grave e che vede quanto, a causa della crisi, queste persone siano sempre meno importanti, colgo questa occasione e la collego idealmente; un esercizio di attenzione alle persone disabili che sono persone e anche a quelle che ancora non si vedono ma già sono Uno di no»i.
Ma il tema non affeziona solo le donne.
Alessandro Corradi ha 40 anni, è impiegato in una casa di risposo di Verona e ha firmato. «Perchè? Per i valori in cui credo e perchè lavorando in una casa di riposo mi confronto tutti i giorni con la sofferenza, il dolore e la morte delle persone. Nonostante questo e nonostante la sperimentazione sugli embrioni potrebbe portare a nuove cure e ad alleviare le pene di questi anziani, non trovo che un fine buono giustifichi il mezzo. Settimana scorsa ho saputo che diventerò zio per la quarta volta; non si sa ancora se sarà maschio o femmina ma è già mio nipote. E’ in fase embrionale, ma è uno di noi».
Chiara Pelizzoni