25/03/2013
La recessione ha messo in ginocchio il piccolo Stato di San Marino
I commessi si annoiano appoggiati alle casse nel reparto computer di uno dei più noti centri commerciali del paese. Tra i lunghi scaffali carichi di pc, stampanti e ogni tipo di congegno tecnologico all'avanguardia si contano al massimo una manciata di avventori. Potrebbe sembrare una scena come tante altre se questo fosse un paese come gli altri. Ma qui siamo a San Marino, il piccolo (e ricco) stato autonomo arroccato alle pendici del monte Titano, a dieci chilometri da Rimini.
Qui i centri commerciali sono, anzi erano, la linfa vitale del paese. Grazie a un regime fiscale agevolato, infatti, la Repubblica autonoma ha sempre avuto una forte attrattiva per la vendita dei beni di consumo. Grandi negozi sono presenti ovunque lungo la superstrada che attraversa la mini Svizzera in terra romagnola. Elettrodomestici, abbigliamento, tecnologia e arredamento: la vendita al dettaglio qui è sempre regnata sovrana, con prezzi più bassi rispetto all'Italia.
«Se prima il sabato e la domenica c'era la fila di auto che entrava nel paese per fare shopping riempiendo i negozi», racconta una commessa di un negozio di arredi per la casa, «da due anni a questa parte, da quando è entrata in vigore la nuova normativa fiscale, è diventato un deserto». E gli effetti della lotta ai paradisi fiscali sono ben visibili: vetrine vuote ed esercizi ormai chiusi.
Giro di vite sulla trasparenza – Se il commercio piange, l'altro grande business del Titano non ride. Gli istituti di credito, con le loro finanziarie e sedi di aziende che potevano godere di segretezza e tassazione molto competitiva, stanno battendo in ritirata. Dal febbraio 2009, infatti, la Banca centrale di San Marino ha dovuto abbassare le difese sull'impenetrabile segreto bancario dello Stato, per evitare di rimanere bloccati dentro la cosiddetta “black list” inaugurata dall'ex ministro dell'economia Giulio Tremonti, quella che identifica i paradisi fiscali non in linea con le regole di trasparenza. Da allora per gli istituti di credito e le finanziarie che custodivano il denaro, proveniente molto spesso dall'Italia, il futuro si è fatto grigio.
«Da pochi giorni San Marino ha addirittura eliminato totalmente il segreto bancario», spiega Gianfranco Forte, ricercatore di Economia degli intermediari finanziari presso l'Università Bicocca di Milano, «quindi è facile prevedere un ulteriore rallentamento per le dodici banche e circa cinquanta finanziarie locali che hanno sempre vissuto dei proventi generati dall'evasione fiscale».
Gli effetti non hanno tardato a riverberarsi sui dati macro economici: nel 2012 hanno chiuso i battenti, secondo il bollettino di statistica, 301 imprese mentre il tasso di disoccupazione è passato dal 6,8 all’8,1 per cento. Cifre purtroppo normali per il Belpaese. Drammatiche se paragonate alla “piccola Svizzera d'Italia”, fino a pochi anni fa abituata a un bilancio statale in attivo e disoccupazione prossima allo zero.
Le banche cinesi – Per porre un argine all'emorragia economica il Titano si sta muovendo in varie direzioni. Tra queste c'è quella che porta in Asia. Hong Kong in particolare, con il "The Maxdo Group Limited", colosso finanziario cinese che si è fatto avanti con insistenza per aprire una banca d'affari nel piccolo Stato. In cambio promette investimenti sul territorio, riportando ossigeno nell'asfittico panorama sammarinese.
«Nonostante il Governo abbia più volte ricondotto e subordinato ogni tipo di scelta ad un metodo all’insegna della trasparenza e della collaborazione ci troviamo di fronte ad un situazione confusa e controversa», denunciano i partiti di opposizione del Titano.
«Le banche cinesi in Europa hanno sempre trovato uno scoglio insormontabile legato alla regolamentazione sulla trasparenza e vigilanza degli istituti», aggiunge Forte.
In sostanza chi investe in quelle banche non sa poi bene dove vadano i suoi soldi. E rischia di perderli. «Negli Stati Uniti è successo più o meno lo stesso, alcuni anni fa. Ora, facendo base a San Marino», conclude il ricercatore, «paese che nonostante la crisi ha ancora molta liquidità e leggi meno stringenti di quelle italiane, la finanziaria cinese potrebbe tentare di entrare nel mercato europeo, con tutte le conseguenze del caso».
Un caso che porterebbe il piccolo Stato ancora alla ribalta della cronaca, ma non certo per l'uscita dalla “lista nera” dei paradisi fiscali.
Lorenzo Bordoni