08/02/2012
Il Presidente del Consiglio Mario Monti durante un intervento sulle politiche europee alla Camera dei Deputati. A sinistra il ministro del lavoro Elsa Fornero (foto Ansa).
Il Governo Monti nelle ultime settimane ha disposto decreti e azioni tendenti, nell’ambito delle attuali leggi, a combattere gli evasori fiscali e ad affrontare concretamente le rivendicazioni delle associazioni di categoria che ritengono di essere state colpite dagli ultimi provvedimenti. Sono tutti un po’ scontenti e questo manifesta che gli interventi attuati, finalmente, tendono a quella “equità”, tanto auspicata a parole, ma che non viene più considerata tale allorquando vengono toccati i singoli interessi.
C’è ancora molto da fare. E’ in discussione il Decreto relativo ai
contratti di lavoro. E’ indubbio che si debbano tutelare i diritti dei
lavoratori, ma è necessario contemperare tali diritti con quel minimo di
flessibilità che possa consentire una maggiore competitività delle
nostre aziende nei confronti dei concorrenti internazionali, nonché un
minimo di utile nei loro bilanci per evitare che preferiscano
delocalizzare o, peggio, chiudere le fabbriche, con conseguente maggiore
danno per i lavoratori e per tutto il Paese. Per rilanciare la crescita
e il lavoro è necessario lo sforzo di tutti. Governo, scuola, parti
sociali ma anche e soprattutto, noi società civile.
La “mobilità” negli
anni a venire è fatto inevitabile, così come pure la “flessibilità”
intesa come capacità di cambiare, nel corso della propria carriera,
azienda o lavoro. Sta alla società civile cominciare ad abituarsi a
questo concetto e fare in modo che diventi un’opportunità di crescita,
di miglioramento, ma nel contempo compete agli organi politici e di
Governo creare le condizioni affinché tale mobilità non diventi per le
famiglie “instabilità”, e la flessibilità non si tramuti in iniquo, e
spesso non tutelato, “precariato”. E’ necessario perciò prevedere, per
chi è “flessibile”, sicure forme di tutela del reddito.
Per operare interventi così delicati, quali quelli che toccano il
lavoro, è necessario che il cittadino, al quale si chiedono sforzi e
sacrifici, abbia fiducia nel proprio Stato. E questa fiducia può essere
legittimamente chiesta solo da uno Stato sano che persegua il
risanamento del bilancio tagliando le spese agli organi centrali e periferici, e che faccia pagare a tutti le tasse corrispondentemente ai
loro reali introiti.
Le iniziative del Governo sono condivisibili, ma sembra sempre più
difficile far approvare all’attuale Parlamento provvedimenti concreti di
taglio alla spesa politica e una nuova legge fiscale che possa colpire
gli evasori alla base delle loro inadempienze, poiché da soli i
controlli, se pur necessari, non sono sufficienti a sradicare il
problema.
Per quanto riguarda la spesa politica, com'è stato da molti
richiesto, è necessario ridurre drasticamente il numero delle rappresentanze a livello centrale, regionale e comunale, eliminando il
livello provinciale, la cui abolizione trova, a parole, d’accordo tutti
ma praticamente sino a oggi ben poco si è fatto.
Ho letto su un autorevole quotidiano di alcuni giorni fa un valido
riepilogo della miriade di enti, consorzi, società statali, regionali,
provinciali, comunali, gestiti in tutto o in parte dagli organi centrali
e periferici. Mi sorge il dubbio (ma è solo un dubbio per carità!) che
tutte queste società pubbliche, o in qualche modo controllate dal
“pubblico”, per la gestione di molte attività più che essere finalizzate
al bene dei cittadini siano state create per assumere, senza concorso
peraltro, “amici”.
Ma non sarebbe più “trasparente” fare in modo di non
creare commistioni fra controllore, ovvero l’organo di Stato che vigila
affinché vengano rispettate le esigenze della collettività, e il
controllato, ovvero le varie società erogatrici dei servizi? E’
legittimo pensare che con una reale liberalizzazione dei servizi lo
Stato e gli organi periferici possano risparmiare, e il cittadino avere
prestazioni migliori? Non sembra che i partiti vogliano affrontare il problema poiché anche
su questo si basa il loro potere, ma mentre sistemano gli amici e gli
amici degli amici, causano però un incalcolabile danno economico allo
Stato.
Capisco le difficoltà del Governo Monti che si trova nella difficile
condizione di voler operare scelte che ritiene giuste e nel contempo
deve “navigare” tra le logiche dei partiti che, con il voto dei loro parlamentari, possono compromettere la sua sopravvivenza.
Grazie al senatore Monti, quale nostro Presidente del Consiglio,
l’Italia sta riconquistando prestigio, sia nei confronti dei mercati
internazionali, sia della Comunità Europea, sia dei vertici degli altri
Paesi della Comunità. Qualora i partiti non dessero pieno sostegno al
Governo Monti o, peggio ancora, gli facessero mancare la fiducia, si
assumerebbero una incalcolabile responsabilità nei confronti dei
cittadini, e la perdita di qualche migliaio di voti, per aver accettato
manovre sgradite ai propri elettori, sarebbe poca cosa se paragonata
alle perdite causate al Paese, ed’ho la certezza che di questo i
cittadini si renderebbero ben conto.
Ai quei politici che accusano chi li critica di volere alimentare
“l’anti-politica”, rispondo che è proprio per il grande rispetto della
politica che i cittadini non possono accettare che venga gestita da
“onorevoli” a volte, non onorabili, o da qualcuno talmente “ingenuo”
che non si accorge se gli rubano i soldi dalla tasca o qualche altro che
neppure ha coscienza del valore economico delle case, (le loro case,
perché sulle nostre sanno bene fare i conti).
L’occasione di un grande riscatto nei confronti dei cittadini i partiti
ce l’hanno. Gli italiani hanno detto forte e chiaro di voler cambiare la legge elettorale, ed è un tema che non può essere affrontato da un
governo “tecnico”. Tornare a votare con l’attuale legge costituirebbe
un esproprio del diritto dei cittadini di eleggere i loro rappresentanti
in Parlamento. Spero che così non sia perché in tal caso non sarà
facile contenere le frustrazioni di chi riterrà che non esistono più
strumenti democratici per esprimere le loro idee.
Roberto Jucci