24/08/2011
Alcune componenti di un gruppo islamico favorevole al rispetto dei diritti umani in Siria. Nel cartello si legge: "Non dimentichiamo Hama", la città siriana fatta bombardare da Assad a colpi di cannone.
“Perché non interveniamo anche in Siria?” si chiede Michele Brondino, studioso del Nord Africa e del Mediterraneo, mentre in Libia siamo all’ultimo atto, e Tripoli brucia? Sono solo due facce della stessa medaglia, Nord Africa e Medio Oriente? Solo nell’ultimo venerdì alcuni osservatori riportavano 28 morti negli scontri in tutta la Siria. I primi di agosto il regime di Assad bombarda la città di Hama, una delle roccaforti degli insorti, a colpi di cannone, oggi le truppe, o meglio le sacche oltranziste di lealisti ancora fedeli a Gheddafi, sparano anche ai bambini nella ormai ex ‘Piazza Verde’, ribattezzata Piazza dei Martiri, a Tripoli. “Perché non accorriamo anche in Siria, subito? Anche in Siria bisognerebbe fare un’azione umanitaria, visti i massacri che si consumano tutti i giorni e con l’esercito che spara ad alzo zero” continua ironico Brondino “ma temo che la risposta, se pure non detta, sia solo una: perché non c’è petrolio e non c’è gas, perché non è un Paese così chiave come altri”.
La copertina del libro "Il Nord Africa brucia all’ombra dell’Europa".
Di sicuro non sono mancati i segnali di qualcosa di incandescente anche
in Medio Oriente dopo gli eventi nordafricani, “anche in questa zona del
mondo, che ospita risorse energetiche incredibili, la pentola bolle, e
tanto. Ma questa regione, ancor più del Nord Africa, ha puntati su di sé
gli occhi di tutti i grandi Paesi emergenti come Cina, Brasile e
India”. Secondo Brondino, co-autore de Il Nord Africa brucia all’ombra
dell’Europa (Jaca Book, pp. 120, euro 12) è chiaro che la rivoluzione fa
paura anche alla Cina, che in Nord Africa e nella Penisola araba è ben
presente come potenza economica.
Mezzi e soldati dell'esercito siriano.
“In Siria la differenza la fa l’esercito – continua Brondino – che è
tenuto strettamente sotto controllo dalla classe politica. Lì per ora
non c’è nessuna spaccatura in seno alle forze armate”. Ma in tutto il
Medio Oriente, nei mesi scorsi, ci sono state rivolte altrettanto
violente che in Nord Africa che hanno investito Stati e monarchie come
il Baharain e lo Yemen senza portare a una vera e propria rivoluzione.
Il motivo per cui non si è visto ancora un Paese mediorientale insorgere
come la Tunisia risiede nel fatto che “il 40 per cento della produzione
del petrolio e del gas mondiale è nel golfo e nella penisola araba,
dove si trovano lo Yemen, l’Arabia Saudita e il Bahrain. In quel settore
tutto il mondo occidentale, e in primis gli Stati Uniti, hanno un
interesse alla stabilità e a mantenere in sella chi li ha favoriti
finora”.
Soldati palestinesi controllano una dimostrazione di attivisti palestinesi nella città di Hebron.
Anche in Palestina c’è un movimento di giovani con i quali era entrato
in contatto Vittorio Arrigoni, il volontario italiano ucciso alcuni
mesi fa a Gaza. Sono giovani, tra loro anche universitari, che pure
all’interno dei campi profughi stanno assumendo posizioni molto critiche
contro Hamas, per una laicizzazione dello Stato. Inoltre un altro
intellettuale palestinese, regista teatrale impegnato per la diffusione
di valori laici e contro il fondamentalismo, Juliano Mer-Khamis, è stato
ucciso nello scorso aprile. Sembrano correlazioni casuali, ma è
difficile non pensare a una certa influenza della primavera araba. “Il
vento della primavera araba è proprio questo: i giovani non fanno più
ricorso alla religione. Questa non viene più strumentalizzata come fanno
i Fratelli musulmani e i fondamentalisti in generale. I giovani
cominciano a prendere coscienza di avere dei valori identitari diversi e
che non bisogna ricorrere solo alla religione. Questo rappresenta un
salto di qualità enorme, perché la religione non viene più
strumentalizzata per fini violenti”.
Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale.
Le rivolte e le rivoluzioni arabe sono avvenute in un momento non
casuale, quello della crisi economica internazionale. “L’innesco c’è
stato puntuale quando la globalizzazione economico finanziaria ha fatto
scoppiare le problematiche di queste società e di queste popolazioni che
vivevano sotto dittature che noi europei sostenevamo. Il Fondo
monetario internazionale e la Banca Mondiale pretendevano delle misure
eccessive e nel corso degli ultimi anni la situazione era peggiorata
sensibilmente. Di fronte al mito del libero mercato che avrebbe regolato
tutto queste società si sono rivelate più fragili”.
Donne palestinesi attendono di attraversare il checkpoint Qalandia tra le citta di Ramallah e Gerusalemme.
I tempi per il Medio Oriente però sono più lunghi, perché lì esistono
realtà e assetti di potere secolari, molto più radicati che in Nord
Africa. “Oggi però la rivoluzione della comunicazione e dell’informatica
ha sconvolto il mondo. Quello che succede in un Paese è subito
conosciuto in un altro, quindi i poteri si devono confrontare con delle
realtà nuove che non possono fronteggiare con i vecchi metodi”. Se in
casa abbiamo avuto la crisi greca, nel cortile di casa, come Brondino
chiama il Mediterraneo, qualcosa si è mosso, ed in particolare sulla
sponda sud. “Per quel che riguarda la Penisola araba – conclude Brondino
- tenga presente che nel bene o nel male questo vento di primavera
araba qualcosa scuoterà”.
Alessandro Micci