Numeri uno in cucina

I segreti di Alain Ducasse, Paco Roncero e Massimo Bottura. Ma quale delle tre è la tradizione migliore?

15/04/2010
Uno dei grandi chef internazionali all'opera
Uno dei grandi chef internazionali all'opera

L’ aula è gremita, molti sono giovani.Ascoltano e prendono appunti,in deferente silenzio. Ma nonsiamo all’università e alla fine della “lezione”per i “docenti” ci sono scrosciantiapplausi. A Identità golose, congressoospitato dal 31 gennaio al 2 febbraio aFiera Milano, in cattedra vanno le stardell’alta cucina. Personaggi che le stellele hanno davvero: una, due, persino tre,quelle della prestigiosa Guida Michelin. Da Massimo Bottura a Davide Oldani,da Andrea Berton a Mauro Uliassi, aGennaro Esposito. E poi gli stranieri, trai quali lui, l’imperatore della gastronomiafrancese: Alain Ducasse. Imprenditore della cucina, con ristoranti a Parigi, Monaco, Tokyo e anche in Toscana (aL’Andana di Castiglione della Pescaia).


E' lui a spiegarci che «l’alta cucina èuna specificità soltanto di alcuni ristorantial mondo. Si tratta di un dibattito perpochi che fa però da traino a tutta l’industriaalimentare. In convegni come questitrasmettiamo la nostra passione, percontribuire allo sviluppo del settore».Insomma, tutti a Milano a discuteredi cucina. Poca tecnica, l’esecuzione diun paio di piatti a testa, e tanta teoria efilosofia della moderna cultura del mangiaree del bere. La cucina è un fatto dicostume. Così, una trasmissione popolarecome Striscia la notizia ha fatto unblitz proprio a Identità golose, con unservizio-bomba sui presunti rischi chimicidi un tipo di cucina oggi di moda,la “molecolare”. Polemiche a parte, appassionatidi molecole o meno, di contaminazionio di tradizione, i cuochi sonooggi protagonisti della scena globale,quindi anche di quella televisiva.Da molti anni, del resto, le figure deglichef sono in prima fila anche nel cinema.

Di cibo si parlava già negli anni’70, in La grande abbuffata di Marco Ferreri(1973) o in Qualcuno sta uccidendoi più grandi cuochi d’Europa (1978) conSegal e la Bisset. Poi due capisaldi: nel1996, Big night di Stanley Tucci; nel2000, Vatel, interpretato da Depardieu.Ma è dal disneyano Ratatouille, cartoneper bambini, che la cucina conquistaHollywood e dintorni. Da Sapori e dissapori,con Catherine Zeta-Jones, fino airecenti Julie & Julia con Meryl Streep eSoul kitchen, del regista turco FatihAkim, sulla Germania etnica di oggi.Dello stretto legame tra cucina e cinemasi sono accorti in ambienti colti: a dicembreil Centre culturel français di Milanoha invitato alcuni esperti a parlaredel tema in un confronto tra gastronomie.E ha riportato sul tavolo un’annosaquestione: il riconoscimento della cucinafrancese come patrimonio immaterialedell’Unesco, richiesta avanzata nel2008 dagli chef d’oltralpe e sostenutada Sarkozy. Per la Francia il cibo è importante,ma lo è anche da noi. Ecco lacontroproposta, approvata dal nostroSenato a giugno di quell’anno: dieta mediterraneapatrimonio dell’umanità, inintesa con Spagna, Grecia, Marocco.

In fondo, non è poi così strano che tredei Paesi ai primi posti al mondo per numerodi siti considerati patrimonio dell’Unesco(Italia al primo con 44, Spagnacon 41 e Francia al quarto con38, dopo la Cina) siano anche dini nella gastronomia. A Made in Mad,evento culturale promosso a Milanodalla Città di Madrid, la cucina era accostataad arti maggiori come il teatro, ladanza, la scultura. E lì, a duettare ai fornellicon il nostro Carlo Cracco, ecco ilcuoco spagnolo Paco Roncero, allievoprediletto del catalano Ferran Adriá,uno dei massimi chef al mondo. Paco èun mago nelle tapas, modo di mangiareper assaggi che rappresenta uno stile divita in Spagna.Non solo pasta e paellaLui si dice d’accordo: la cucina è cultura.«Quelle italiane e spagnole sonosorelle, complici i prodotti offerti dallanatura mediterranea». E svela: «Nonamo mischiare troppi ingredienti. Scelgoi migliori e faccio in modo che non“si mangino” tra loro. I sapori devono rimanerepuri. Italia e Spagna non sonosolo pasta e paella. Abbiamo pesci, verdure,frutti fantastici e sappiamo armonizzarli». Piatto italiano preferito? «Il risottodell’amico Cracco».Ma torniamo a parlare con sua maestàDucasse: «Nell’evoluzione della gastronomianon è necessario contrapporrechef italiani e spagnoli, o spagnoli efrancesi. Occorre preservare le identitàaprendosi alla diversità. Siamo le tre culturegastronomiche più interessanti,perché abbiamo culture regionali moltoforti. Pensiamo alla cucina di Bretagnarispetto a quella di Provenza, aquella di Catalogna e all’andalusa, allevostre fantastiche cucine di Toscana, Liguria,Piemonte, Sicilia, Campania...».In giro si dice che oltre che miticochef, Ducasse sia anche un goloso. E losi arguisce dall’entusiasmo che mettenell’elencare gli ingredienti alla basedella nostra gastronomia. «Nel ristoranteche curo in Toscana utilizziamo solomaterie prime della terra e del mare diMaremma. All’origine della buona cucinaci sono i prodotti e nei nostri Paesi lanatura è generosa. La nostra grande culturamediterranea ha saputo poi valorizzarlie perfezionarli». Sono i prodotti,per lui, patrimonio dell’umanità: «Patrimonionon significa museo, ma evoluzione.La cucina deve essere inventariata,per guardare al futuro».L’ultima parola spetta a Massimo Bottura,divo tra i divi della cucina italiana,eletto chef dell’anno a Identitàgolose. «Non dobbiamoaver pauradelle contaminazionidi altrecucine. La fusioneè un puntodi partenza, non di arrivo.

Il nostro Paeseè il più bello del mondo. Da noi arrivanotutti, non solo per godere del paesaggioma anche per i nostri piatti. Dobbiamovalorizzare ciò che abbiamo, senzaautocelebrarci. È inutile che i consorzidel grana o dell’aceto balsamico, percitare solo due esempi legati alla miaterra, l’Emilia Romagna, vadano sbandierandoche il nostro formaggio o il nostroaceto sono i migliori. Stare a spiegarloè già come ammettere un’inferiorità,è come temere la concorrenza. Noi“siamo” i numeri uno nella cultura delprodotto. Punto e basta».

Giusi Galimberti
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