31/03/2012
(Thinkstock)
La sanità è uno degli indicatori più importanti per misurare il livello di civiltà di un Paese. Dal punto di vista sociale in nostro sistema sanitario è, nella sua impostazione, equo e civile. In Italia le prestazioni sanitarie sono garantite a tutti e per tutti sono le medesime nelle strutture pubbliche. Non c’è alcuna differenza di trattamento tra poveri e ricchi, italiani o stranieri, giovani o anziani. Non è cosa da poco e voglio ricordare che in molti Paesi avanzati non è così.
In Italia al pronto soccorso tutti siamo curati egualmente; ma egualmente bene o egualmente male? E qui molti scuotono la testa mestamente mormorando che dovremmo fare di più ma che la sanità costa, eccome se costa! Il senatore Ignazio Marino, che è uno dei parlamentari più attenti alla problematica, ha recentemente condotto una “inchiesta” nei pronti soccorsi di Roma. La sua competenza in materia di sanità è fuori discussione perché è egli stesso un medico, peraltro scienziato di fama internazionale, e ben conosce e comprende le problematiche che ogni giorno i suoi colleghi medici si trovano ad affrontare nelle strutture di pronto intervento.
Il senatore ha fatto alcune proposte, che ritengo più che ragionevoli e condivisibili, riguardo l’ottimizzazione e la riorganizzazione degli ospedali. Ottimizzazione e riorganizzazione sono due termini che molto spesso i nostri amministratori usano e che di fatto il più delle volte si concretizzano in “tagli” ai servizi e ticket per le prestazioni di base. Ma risparmiare tagliando i servizi all’utenza è facile e chi ci rimette poi, come al solito, sono le fasce più deboli della popolazione. Ritengo invece che la riorganizzazione vada effettuata migliorando quello che c’è, senza costi aggiuntivi, ma ottimizzando le risorse.
(Ansa).
Come? Prioritariamente coinvolgendo i medici di base. Non voglio essere
frainteso, non sto certo dicendo che non lavorano abbastanza. Dico però
che devono lavorare diversamente, o per meglio dire, diversamente
organizzati. Come funziona l’attuale sistema? Oggi un medico di base, ad
esempio uno che ha 1.000 assistiti, ha l’obbligo di ricevere i
pazienti presso il proprio studio per un minimo di 15 ore nell’arco
della settimana; il nostro medico fa ovviamente anche le visite
domiciliari per i pazienti che non possono spostarsi da casa. Le visite,
se richieste entro le ore 10, vengono effettuate nella giornata, se la
chiamata avviene dopo le ore 10, entro le ore 12 del giorno successivo.
Questo sistema funziona dal lunedì al venerdì.
E se ci sentiamo male di sabato, di domenica oppure la notte?
Chiamiamo la guardia medica o, più probabilmente nelle grandi città,
andiamo al pronto soccorso e lì, dove indistintamente confluiscono
tutti, da chi ha la testa rotta o l’infarto, a chi ha solo un mal di
pancia, aspettiamo per ore un dottore che ci visiti e che, magari
scusandosi per la lunga attesa, ci dice che non abbiamo nulla di grave e
che potevamo evitare di andare al pronto soccorso. Giusto, ma come
facevamo noi, di sabato pomeriggio, a capire che non avevamo nulla di
grave se non andavamo al pronto soccorso?
Bisogna riorganizzare il sistema.
Questa in sintesi l’idea del senatore Marino, che ha analizzato la
situazione essenzialmente nelle grandi città, e che condivido
pienamente.
I medici di base dovrebbero consorziarsi tra loro e istituire presidi
medici territoriali che dovrebbero funzionare continuativamente, 24 ore
al giorno, sette giorni su sette, con annesso un centro specialistico
con medici specialisti che verrebbero cooptati dalle ASL o dagli
ospedali. Fermo restando l’istituzione del medico di famiglia, al quale
siamo legati da un irrinunciabile rapporto di fiducia e che ci cura
nelle condizioni ordinarie, i cittadini dovrebbero potersi recare presso
questi presidi, che potrebbero sostituire, inglobandole, le attuali
guardie mediche, anziché recarsi subito ai pronti soccorsi.
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In questi presidi verrebbero visitati e dirottati all’ospedale solo se
affetti da patologie acute in atto. Secondo recenti statistiche le
patologie che necessitano di ricovero immediato sono in numero tale che
gli attuali pronti soccorsi risulterebbero in linea di massima più che
sufficienti per il loro trattamento. I pronti soccorsi dovrebbero
disporre inoltre di un sistema informatico di telerilevamento capace di
fornire informazioni, in tempo reale, sul numero di posti letto
disponibili nell’ospedale e in quelli limitrofi, e in quali reparti tali
posti letto sono collocati.
Questa soluzione non necessita di grandi costi aggiuntivi per essere
messa in atto perché le strutture che si utilizzerebbero sono
sostanzialmente già presenti sul territorio e il personale è quello già
in forza alle ASL. Tale ristrutturazione potrebbe quindi essere
avviata in tempi brevi.
Sarebbe certamente opportuno prevedere un preliminare periodo di
sperimentazione da attuare preferibilmente nelle aree di maggiore
criticità.
Contestualmente può essere conveniente affrontare anche un altro
problema, ovvero quello degli interventi chirurgici di alta e delicata
specialità, che si concentrano per lo più nel campo della neurochirurgia
e della cardiochirurgia. E’ alquanto oneroso dotare tutti gli ospedali
del territorio nazionale di sofisticate attrezzature, personale e mezzi
atti ad eseguire tali interventi. Sarebbe, credo, meno oneroso
costituire centri super specializzati dove i pazienti potrebbero essere
indirizzati e dove, effettuato l’intervento, dovrebbero permanere il
minor tempo possibile ed essere trasferiti nei reparti di degenza delle
ordinarie strutture ospedaliere territoriali.
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Gli ospedali che non hanno un adeguato bacino di utenze dovrebbero
essere chiusi. Ciò non vuol dire necessariamente “tagliare posti letto” a
scapito dell’utenza, bensì ottimizzarli concentrandoli in grandi
ospedali dotati di reparti con almeno 100 posti letto ciascuno. Così
facendo forse potremmo riuscire a diminuire il numero dei primari,
alcuni dei quali, per giustificare la loro carica e il conseguente
stipendio, tengono in piedi reparti di poco meno di 10 posti letto con
ovvio aggravio per il pubblico erario; si migliorerebbe nel contempo
anche la gestione tecnico-amministrativa, che risultando più accentrata,
avrebbe costi inferiori (spese generali, per i turni medici e
infermieristici ecc). I piccoli ospedali potrebbero così essere
trasformati in più utili presidi territoriali, ad esempio in presidi
medici territoriali o in strutture per anziani, per disabili o per
bambini, a seconda delle esigenze dei cittadini.
Queste che ho esposto sono ristrutturazioni facilmente attuabili che,
con una sostanziale parità di costi rispetto al sistema attuale, si
pongono il solo obiettivo di fornire ai cittadini un servizio più
efficiente. Ma è ben noto che i problemi della sanità sono anche tanti
altri, e gli sprechi enormi. A prescindere dagli episodi di corruzione e
di illegalità che, più di qualche volta, si verificano ad esempio negli
appalti di forniture di materiale medico sanitario, è noto che,
frequentemente, gli stessi prodotti acquistati in diverse ASL hanno
oscillazioni di prezzo anche dell’ordine del 30-40%. Tale fenomeno
potrebbe essere limitato costituendo una commissione
tecnico-amministrativa che, a livello nazionale, faccia da “osservatorio
prezzi”, e si occupi di aggiornare e pubblicare annualmente i costi
standardizzati dei presidi sanitari e ospedalieri di maggiore utilizzo.
Nelle varie ASL i prezzi dei materiali acquistati non dovrebbero
discostarsi di oltre il 10% da quelli pubblicati da tale commissione e,
nel caso, con adeguata giustificazione; la commissione, in situazioni
particolari di apparecchiature speciali o di forti discostamenti dai
prezzi medi, dovrebbe fornire il proprio parere di congruità prima
dell’acquisto.
Un sistema sanitario più efficiente e meno costoso può essere
realizzato, e anche per me la maniera migliore è “tagliare”, solo che
anziché tagliare i servizi alla gente io penso che si debbano tagliare
gli interessi dei politici, quelli delle grandi lobby e quelli dei
“baroni” della medicina.
Roberto Jucci