25/05/2012
La Rocca di San Felice sul Panaro, provincia di Modena (Ansa).
Sono morte anche le rondini, che avevano appena nidificato sui tetti delle torri, dei castelli e dei palazzi devastati dal terremoto. E’ stata una strage, “un brutto lavoro”, come dicono gli emiliani. Un “lavoro” che non si era mai visto. Rimboccarsi le maniche sarà dura, perché accanto alla moria dei capannoni e delle fabbriche, spazzate via a catena come castelli di carta- si parla di 12.000 persone, una più una meno, che sarebbero a rischio di perdere il posto- c’è la strage del patrimonio storico e artistico, una ferita aperta nella nostra memoria collettiva.
Nella zona colpita dal terremoto, tra Modena, Ferrara e Bologna, non è rimasta una chiesa in piedi. Sono crollate torri duecentesche, come la Torre dei Modenesi di Finale Emilia, con la campana di San Zenone ancora in mezzo alle macerie, rocche rinascimentali come il castello delle Rocche, sempre a Finale, il castello estense di San Felice sul Panaro e il castello Lambertini di Poggio Renatico. Danneggiato anche il Castello di Ferrara.
E poi le chiese e i palazzi. Lo squarcio del Municipio di Sant’Agostino parla da solo, ma è il simbolo dello sfregio di un patrimonio diffuso che è poi il retaggio della ricchezza e del prestigio della signoria Estense, che ha regalato all’Italia una delle sue stagioni più belle e più gloriose.Artisti come Cosmè Tura e Dosso Dossi hanno portato fin d’allora il made in Italy in tutto il mondo. Gli emiliani sono gente pratica, che hanno messo a frutto la loro terra.
Le fabbriche e i capannoni si alternano ai fienili e alle case coloniche secolari, a volte anche con un di più di spregiudicatezza che di certo non ha favorito il turismo. La campagna emiliana non ha la pulizia della chiantigiana o della campagna di Siena, che tanto piace agli americani, ma è uno dei campanili che rendono unico il nostro paese.
Questo gli emiliani lo sanno molto bene come sanno che i 50 milioni stanziati dal governo per l’emergenza sono briciole, che potrebbero condannare a morte questo patrimonio.
Il Castello estense di Ferrara (Ansa).
Carla Di Francesco, direttrice regionale dei Beni culturali, ha attivato
una task force con 22 architetti e 19 storici dell’arte che hanno il
compito di schedare gli edifici storici danneggiati e di redigere una
mappatura completa.
“Il patrimonio è in ginocchio”, ha dichiarato.
Sono parole che suonano come una dichiarazione d’impotenza.
Sarebbe bastata un’ azione di ordinaria manutenzione e consolidamento
per limitare di molto i danni. Lo dicono gli esperti, lo dice il buon
senso.
La politica è colpevole di una trascuratezza imperdonabile che di
per sé giustifica i fischi con cui la gente ha accolto la visita del
premier.
A questo punto i politici e gli amministratori devono ascoltare gli
storici dell’arte e gli architetti che indicano come unica strada il
metodo venzone ossia il metodo adottato per ricostruire il duomo della
cittadina di Venzone, crollato in seguito al terremoto del Friuli.
Le pietre e i capitelli, allora, furono numerati ad uno ad uno e poi
ricollocati sulla base delle fotografie e del dipinti, per restituire
l’originale.
Tecnicamente significa ricostruire per anastilosi, ossia
con i materiali originari accuratamente riordinati.
“Che dio ci salvi anche dai ricostruttori, dagli architetti e dagli
urbanisti delle 'new town", ha detto Vittorio Sgarbi. Una volta tanto
sono tutti d’accordo con lui, da Andrea Emiliani a Eugenio Riccomini a
Philippe Daverio.
Assurde le obiezioni di chi sostiene che, in questo modo,
riconsegneremmo dei falsi.
Con questa logica non avremmo nemmeno dovuto
sottrarre ai danni del tempo i capolavori di Giotto e di Michelangelo e
non avrebbero dovuto risorgere dalle macerie della guerra città come
Varsavia e come Dresda, ricostruite per quanto possibile con questa
stessa tecnica. Una tecnica che peraltro, da allora, ha fatto passi
avanti da gigante.
Un terremoto non è una guerra. Molto si può recuperare anche perché noi
abbiamo gli artigiani, i restauratori, gli architetti e gli storici
dell’arte migliori del mondo.
Lo sanno bene a Bagdad, dove gli italiani
sono stati determinanti per il recupero del Museo Archeologico. Lo sanno
anche in Emilia, dove c’è chi ha detto che non vuole soldi ma solo la
possibilità di intervenire con urgenza.
Come il carrozziere Bruno Bombarda, che dal ’56 vive con la famiglia in
una casa castello del ‘400 che quando aveva 22 anni stava per essere
venduta. Lui ha lavorato notte e giorno per tenersela e, oggi che ha
visto spaccata in due la torre del 1436, ha detto che vuole solo la
possibilità di agire prima dell’inevitabile. Ha già trovato un’azienda
artigiana che è pronta a partire. Cominciando a numerare le pietre.
Simonetta Pagnotti