Test Invalsi, la scuola spacca l'Italia

I risultati dei quiz: il nostro sistema scolastico funziona bene al Nord, così così al Centro e maluccio al Sud. Tante proteste. Ma una valutazione della scuola è ormai indispensabile.

22/07/2012
I docenti dell'istituto Casanova di Napoli alle prese con centinaia di test Invalsi da correggere (Ansa).
I docenti dell'istituto Casanova di Napoli alle prese con centinaia di test Invalsi da correggere (Ansa).

La pubblicazione dei risultati su scala nazionale delle prove Invalsi restituisce la fotografia di un Paese in cui la scuola – per riassumere in estrema sintesi – funziona bene al Nord, così così al Centro e maluccio al Sud (pur con sfaccettature e distinguo doverosi: per esempio Puglia, Abruzzo e Basilicata si attestano sui livelli nazionali medi). La regione che va peggio è la Campania, le migliori il Veneto e il Trentino. Ciò significa che i problemi che il nostro Meridione vive a livello economico, sociale e civile si riflettono anche sull’istruzione (e forse potremmo dire che, come in una sorta di circolo vizioso, partono anche da lì).


Italiano e Matematica alla prova

Spieghiamo rapidamente qualcosa di questo strumento. Le prove Invalsi sono test introdotti per la prima volta nel 2008 (inizialmente in via sperimentale) dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione (da cui l’acronimo "Invalsi"). Quest’anno hanno interessato le seguenti classi: seconda e quinta elementare, prima e terza media, seconda superiore. Le discipline testate sono Italiano e Matematica. Dal prossimo anno scolastico – annunciano al Ministero – i test Invalsi verranno proposti anche all’ultimo anno della scuola superiore: ancora non è chiaro se, analogamente a quanto avviene nell’esame di terza media, all’interno dell’esame di maturità (al posto della cosiddetta “terza prova”, fino a quest’ anno approntata dalle singole commissioni d’esame) oppure in un momento a se stante.

Sit in di studenti e insegnanti contro i test Invalsi sulle scale del ministero dell'Istruzione (Eidon).
Sit in di studenti e insegnanti contro i test Invalsi sulle scale del ministero dell'Istruzione (Eidon).


Uno strumento controverso

Già dagli anni scorsi l’introduzione delle prove Invalsi ha provocato negli insegnanti reazioni diverse. Inizialmente i docenti si sono lamentati di un carico di lavoro in più: per molti si trattava dell’ennismo adempimento burocratico. C’è chi ha evidenziato i limiti intrinseci a una tipologia di test come questi, standardizzati e dunque per ciò stesso “rigidi”, incapaci per loro natura di valutare, ad esempio, fantasia e creatività (del resto è difficile misurare ciò che non è misurabile). Altri maestri e professori hanno obiettato che l’introduzione di prove nazionali uguali per tutti gli istituti finisce con l’appiattire le diversità e per limitare la libertà di insegnamento, spingendo la scuola italiana verso la deriva di ciò che gli anglosassoni chiamano il teaching to test: il paradosso per cui, mentre la logica e il buon senso vorrebbero che la valutazione fosse il momento conclusivo di un’azione didattica (cioè che la valutazione fosse pensata in funzione della didattica svolta), si finisce invece per riorganizzare l’insegnamento in funzione di una valutazione imposta dall’alto, a livello centrale.


Un’occasione da non perdere

Dubbi e riflessioni che è giusto approfondire: condivisibile, ad esempio, la richiesta degli insegnanti di essere maggiormente coinvolti nella formulazione delle prove, ora non sempre del tutto in sintonia con i programmi svolti. Ma non per affossare uno strumento che, per quanto perfettibile, rappresenta un’importante occasione per misurare su scala nazionale i livelli di apprendimento e per apportare i necessari correttivi al sistema scuola. Valutare i livelli di apprendimento degli studenti significa valutare anche l’efficacia dell’azione didattica.


Per troppo tempo la scuola si è sottratta alla valutazione. Oggi è giunto il momento di superare questa renitenza. Le scuole che funzionano e i docenti che svolgono bene il proprio lavoro – e sappiamo che sono la maggioranza – non hanno nulla da temere. Anzi, da prove come queste non potranno che ricevere un riconoscimento positivo e incoraggiante del proprio operato. Invece gli istituti dove le cose non filano a dovere ne acquisiranno consapevolezza e saranno stimolati a fare meglio. Il Paese non può che guadagnarci. Anche perché si sa che, oggi più che mai, il futuro di una nazione – in termini di progresso non solo culturale ma anche materiale – è strettamente legato alla qualità del suo sistema formativo.

Roberto Carnero
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