01/10/2011
Un operatore di borsa a Wall Street (foto Ap).
Far pagare al settore finanziario, responsabile
della crisi almeno quanto gli Stati che hanno truccato i conti, il giusto
prezzo: è lo scopo della Tobin
tax, la tassa sulle
transazioni finanziarie che il 28 settembre il presidente della Commissione Ue Josè Barroso
ha presentato come la punta di diamante della strategia anti-crisi globale. «Siamo i
primi del g20 ad aver mantenuto le promesse», ha detto.
L’idea era venuta a James Tobin, il grande economista americano che aveva vinto il premio Nobel per l’economia nel 1981 in seguito ai suoi studi sull’uso della moneta. Il mercato finanziario - era la sua idea - è in rapida trasformazione. È nato al servizio dell’economia reale: trasformare il risparmio dei singoli e delle famiglie in risorsa per finanziare gli investimenti, sia per le imprese che devono acquistare macchinari, sia per le famiglie che affrontano l’acquisto della propria casa.
Oggi però, sviluppandosi, diventa sempre più autoreferenziato: molte operazioni finanziarie non hanno come obiettivo ultimo il finanziamento dell’economia reale. Gli operatori acquistano titoli e monete per rivenderle subito dopo, lucrando profitti che si moltiplicano con la rapidità degli scambi. Spesso per farlo prendono a prestito denaro, concorrendo ad aumentare volume e dinamica del mercato. A volte acquistano senza nemmeno avere il denaro per farlo, perché rivenderanno prima della scadenza di pagamento, lucrando sulle differenze.
Un operatore di borsa a Wall Street (foto Ap).
La maggior parte delle operazioni, insomma, non ha più come orizzonte il
servizio all’economia reale e il mercato finanziario diventa un immenso
tavolo da gioco mondiale che vive di se stesso con operazioni sempre
più numerose, articolate e raffinate. Il rischio però – si preoccupava
Tobin – è che un mercato senza regole consenta movimenti estremi,
speculazioni a senso unico (contro una moneta ad esempio) che faranno sì
guadagnare gli operatori più spregiudicati, ma potrebbero indebolire
pericolosamente la maggioranza di operatori più deboli o l’intero
sistema.
Perché non tassare allora le transazioni valutarie, cioè i
movimenti finanziari internazionali che comportino un cambio di moneta?
Con una piccola tassa i movimenti diverrebbero un poco più costosi e si
scoraggerebbero almeno in parte le azioni speculative, quelle costruite
sulla frequenza e rapidità delle operazioni. Con il ricavato della
tassa si potrebbero finanziare spese importanti ma poco popolari, in
particolare si potrebbe finanziare la spesa sociale, all’interno dei
paesi che impongono la tassa, e a livello internazionale finanziando la
cooperazione internazionale. Proviamo a ragionare. Una tassa di questo
tipo inciderebbe poco su chi cambia dollari con cruzeiros brasiliani
per acquistare una fornitura: il movimento valutario si fa una volta
sola, al momento dell’acquisto, sostenendo un costo pressoché irrisorio
(stiamo parlando di una tassa al massimo dello 0,05%, una cifra davvero
minima).
Qualcosa potrebbe cambiare invece per gli speculatori, che
fanno più volte lo stesso movimento durante la giornata per far salire
artatamente il valore di una valuta (o di un titolo), salvo poi vendere
tutto al’improvviso e lucrare il guadagno: si comprano più volte
grandi quantità di cruzeiros inducendo i cosiddetti followers (gli
inseguitori-imitatori) a imitarli. Se un grande operatore acquista
quella valuta significa che si attende rialzi: comperiamola anche noi, è
il ragionamento consapevole o meno dei followers. In questo modo
sale il valore del cruzerios, domandato da tutti gli operatori. Quando è
salito abbastanza si vendono i cruzeiros, ottenendo così una quantità
di dollari largamente maggiore di quella cambiata in origine. Peccato
che le vendite in blocco del grande operatore provochino l’avvio di una
discesa del valore del cruzeiro, che crolla del tutto quando i followers
imitano anche nella vendita, spaventati dal fatto che li grande
operatore ha liberato le sue ‘posizioni’ in cruzeiros. Il grande
operatore ci ha guadagnato, i followers più rapidi anche, quelli lenti
hanno probabilmente perso e i brasiliani sono in ginocchio: prima del
nostro ‘gioco’ con un cruzerio compravano qualcosa, ora non la loro
valuta non vale più nulla.
Ebbene, se ogni operazione valutaria (a
volte sono realmente innumerevoli all’interno della stessa giornata)
comportasse un piccolo costo è probabile che almeno in parte i movimenti
speculativi vengano raffreddati, parzialmente scoraggiati e resi più
lenti, riducendo quindi gli effetti negativi soprattutto sui mercati più
vulnerabili, come l’esempio del cruzeiro dimostra. Questa non è una
dinamica teorica. Qualcosa del genere è realmente accaduto in molti
casi. Quello più clamoroso in Italia fu la speculazione contro la lira
del 1992, operata dalle banche italiane contro la loro stessa moneta,
che costrinse alla svalutazione del 30% rispetto all’ECU.
Le banche
italiane si facevano prestare lire, anche dalla Banca d’Italia, da vendere
per acquistare marchi, inducendo continue cadute della lira e aumenti
del marco, salvo rivendere i marchi, una volta ottenuta la svalutazione,
per ricavare una quantità di lire superiore a quella utilizzata per
l’operazione. Un altro esempio famoso è quello della crisi finanziaria
del Sud Est asiatico del 1997, dove operazioni speculative di questo
tipo fecero crollare il valore delle monete locali, soprattutto in
Indonesia, rendendo costosissime le importazioni preziose per la
struttura dei consumi locali, a cominciare dalla spesa per il petrolio.
New York, 19 settembre 2011. Una manifestazione di protesta contro le degenerazioni della speculazione finanziaria, partita dallo Zuccotti Park e diretta verso Wall Street (foto Bryan Smith/Zumapress.com).
I profeti di rado vengono osannati e James Tobin, nonostante il
premio Nobel, venne spesso criticato per questa sua idea, accusato di
intralciare, più che i movimenti speculativi, lo stesso mercato.
Ostacolare la libertà di mercato è un’eresia, secondo i sacerdoti
dell’ortodossia, figuriamoci poi se la condiamo con l’idea di usare i
proventi di una tassa di questo tipo per finanziare la povertà nel mondo
o comunque la spesa sociale: i fannulloni facessero il piacere di
tirarsi su le maniche senza appoggiarsi tanto sull’assistenza offerta
dallo stato che scaricherebbe sul mercato dove operano i meritevoli il
loro costo sociale. Come si vede le sciocchezze non hanno stagioni. Se i
profeti spesso rimangono soli, le loro buone idee, per fortuna, trovano
prima o poi qualcuno che le realizzi.
Questo è il caso della Tobin Tax
che negli utlimi 15 anni ha ricevuto attenzioni sempre maggiori, sino
ad essere oggi considerata come uno strumento possibile per concorrere a
governare il mercato finanziario e ridurre i rischi derivanti
dall’assenza di regole. Il mercato finanziario in questi anni si è molto
evoluto. Non ci sono più i cruzeiros, sostituiti dal real. Ma
soprattutto la rivoluzione telematica ha reso possibili velocità di
transazioni ieri inimmaginabili e strumenti finanziari la cui
articolazione e raffinatezza è gestibile solo attraverso i moderni
strumenti informatici. Uno sviluppo improntato alla deregulation
finanzaria perseguita negli ultimi quindici anni, però, anziché
aumentare l’efficienza ha aumentato la vulnerabilità anche delle piazze
più ricche. Ne è una dimostrazione la pesantissima crisi finanziaria
del 2008, nata tra i big della finanza mondiale e scaricata sulle
economie di tutto il mondo.
L’idea di Tobin è cosi tornata di moda,
grazie anche al lavoro delle reti di società civile in tutto il mondo,
che da dieci anno propongono una tassa sulle transazioni finanziarie,
sul tipo della Tobin Tax, che scoraggi le operazioni speculative
rendendole più costose. Lentamente numerosi governi hanno iniziato a
convincersi della bontà dell’idea, vedendo gli effetti della crisi e la
difficoltà di finanziare le maggiori spese che la crisi determina (si
pensi agli automatismi della spesa sociale: se c’è crisi aumenta la
spesa per interventi di sostegno come la cassa integrazione, ma nello
stesso tempo si riduce l’entrata fiscale perché i redditi dei cittadini
diminuiscono e lo stato è costretto a indebitarsi).
L'interno della Borsa di New York, a Wall Street (foto Ap).
Oggi abbiamo
l’Unione europea che propone l’introduzione di una tassa sulle
transazioni. Non solo su quelle valutarie, come aveva proposto Tobin, ma
sull’insieme delle transazioni, fatte salve le minori che non
potrebbero essere legate ad azioni speculative. Se verrà applicata
comporterà un costo irrisorio sulle singole operazioni, lo 0,05%
appunto, ma diverrà un peso sgradevole, per quanto contenuto, per le
operazioni speculative, concorrendo a ridurne frequenza e dimensione.
Alcuni critici affermano che se non verrà applicata in tutti i mercati
sarà sterile, perché farà solo allontanare le risorse dai mercati
tassati e dunque più costosi. In realtà è un segnale politico
importante anche se non tutti la attiveranno. Sia per affermare che i
mercati hanno bisogno di regole per essere davvero liberi ed efficienti,
sia per ricordare che chi accede a profitti ha il dovere di concorrere a
finanziare la comunità. Un principio sempre più – sgradevolmente –
dimenticato nei nostri Paesi. Il calcolo delle risorse che si possono
raccogliere non è facile. Le stime variano dai 10 a i 55 miliardi di
euro l’anno. Alcuni parlano di cifre anche maggiori. E’ una cifra di
notevole valore, soprattutto perché rinnovata ogni anno.
Il fondo salva Stati europeo è previsto in 250 miliardi, in una prospettiva
pluriennale, tuttora da finanziare. Risolta la crisi la tassa sulle
transazioni potrebbe rimanere, sia perché regola i mercati, sia per far
affluire risorse alla cooperazione internazionale, che oggi è la
cenerentola finanziaria, la prima voce che tutti, a cominciare
dall’Italia, tagliano. Come vi è un dovere di corresponsabilità a
livello nazionale, anche nella dimensione internazionale i ricchi hanno
il dovere di corresponsabilità, senza travestirlo da generosità. La
proposta presentata in questi giorni diverrà legge? È presto per dirlo.
Gli ostacoli sono molto numerosi. Di certo possiamo dire che è una
delle (rare) innovazioni nella politica per cui merita fare il tifo.
Con un pensiero ad un vecchio economista che, come dovremmo fare tutti,
sapeva guardare con intelligenza al futuro.
Riccardo Moro, economista