Balduzzi: salute, non solo tagli

Anche in un periodo di crisi, dice il Ministro, si può fare molto per migliorare, cambiando stili di vita, razionalizzando il sistema e non perdendo di vista il buon senso.

08/02/2012
Il ministro della Salute Balduzzi (al centro) sui banchi del Governo con i colleghi Di Paola (a sinistra) e Barca (foto copertina e questa foto: Ansa).
Il ministro della Salute Balduzzi (al centro) sui banchi del Governo con i colleghi Di Paola (a sinistra) e Barca (foto copertina e questa foto: Ansa).

L’ultima, in ordine di tempo, gli ha scatenato contro i pediatri. Quandoqualche giornale ha scritto che, su sua indicazione, non avrebbero più dovuto occuparsi dei bambini dai 6 anni in su, gli specialisti dell’infanzia hanno alzato la voce.

     La polemica è pane quotidiano per Renato Balduzzi, un giurista chiamato da Mario Monti nella sua squadra come ministro della Salute. Nato a Voghera (Pavia) il 12 febbraio 1955, studi e laurea a Genova, casa ad Alessandria, dove vive con moglie e figli (tre), lavoro prima ad Alessandria, all’Università del Piemonte orientale, poi a Milano, alla Cattolica, insegnando Diritto costituzionale, il professor Renato Balduzzi ha giurato al Quirinale il 16 novembre 2011.

     Per indole e formazione (è stato presidente nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale), punta a risolvere i problemi con uno stile «il più possibile capace», spiega, «di coniugare pragmatismo, difesa dei valori in gioco e rispetto delle persone coinvolte». Il Governo tecnico ha di fronte poco più di un anno, salvo complicazioni. Balduzzi va di fretta. Il tempo non gioca a suo favore. Il non dover cercare il consenso a ogni costo, però, gli offre inediti margini di manovra.

– Come la mettiamo con i pediatri?

     «Vorrei che si distinguesse tra le polemicheche hanno un fondamento reale e quelle che, invece, sono generate da semplici ipotesi o, peggio, dal “sentito dire”».

– Questa in quale categoria va messa?

     «Nell’ultima. Né io né gli esperti che collaborano con me abbiamo mai preso in considerazione una simile enormità. Si tratta del pensiero di alcuni tecnici regionali della Sanità, una proposta che non è mai pervenuta al ministero e non è in discussione. Se proprio qualcuno deve polemizzare con me, beh, abbia almeno l’avvertenza di partire da dati certi».

– Rimanendo ai bambini: c’è chi la guarda storto perché teme che voglia mettere balzelli su patatine fritte, merendine e dolcetti...

     «Occorre mangiare meno e mangiare meglio. Intendo aiutare le nuove generazioni a cambiare le proprie abitudini alimentari attraverso tutti gli strumenti a disposizione. Se sarà considerata utile, proporrò una tassa di scopo sul cosiddetto junk food, il cibo spazzatura. La definizione non è elegantissima, ma rende l’idea. Molti alimenti che finiscono in pasto ai nostri figli non sono in linea con ciò che dietologi e nutrizionisti consigliano. Non possiamo stare fermi. È uno dei punti che potrebbe qualificare il nuovo Patto per la salute».

– Di che cosa si tratta?     

     «È un insieme ragionato di indirizzi politici concordati tra il Governo e le varie Regioni».

– Quando sarà pronto, signor ministro?

     «Entro il 30 aprile il Governo deve prepararela cosiddetta Manovra estiva. Ho detto alle Regioni: approfittiamo di questa scadenza per definire almeno le linee di fondo del nuovo Patto per la salute 2013-2015, che aggiornerà quello 2010-2012, ora in vigore. Le Regioni hanno accettato. È importante che nel momento in cui si realizza una manovra fatta di tagli, si ripensino gli obiettivi e si individuino le riforme da tradurre in pratica. Tra il 1° maggio e il 31 dicembre avremo tempo per approfondire in particolare questo o quel contenuto».

– Volete tagliare i costi, ridurre i tempi peresami e interventi, ma avete a che fare con organici talvolta mal distribuiti, spesso insufficienti, in qualche caso in balia della manie di grandezza di certi primari.

     «In un momento in cui, com’è noto, le risorse sono limitate, la grande scommessa è riuscire a non diminuire i livelli e la qualità del Servizio sanitario nazionale, fin qui orgoglio del nostro Paese, invidiato e copiato all’estero».

– Come fare a vincerla?

     «Ciascuno può e deve fare qualcosa. Noi cittadini dobbiamo essere più attenti nell’evitare sprechi nel campo della farmaceutica e delle prestazioni specialistiche: quanti esami non strettamente necessari facciamo? Soprattutto dobbiamo migliorare gli stili di vita. Tra il 1980 e oggi, certi cambiamenti positivi, unitamente alle conquiste della medicina, hanno portato a una drastica riduzione, il 60% in meno, della mortalità per malattie cardiocircolatorie. A partire dal 1990, poi, la somma di questi due fattori ha visto diminuire del 20 per cento i decessi per tumori».

– Innovare in maniera capillare i comportamenti richiede tanti anni...

     «Nel breve periodo, a livello nazionale, regionale e di Asl si devono eliminare inefficienze, sprechi, duplicazioni, nicchie. Prendiamo, per esempio, i Punti nascita: in accordo con le direttive dell’Organizzazione mondiale della sanità si sa che sotto i 1.000 parti all’anno operano in situazione di rischio e che sotto i 500 vanno chiusi. Attenzione, però: ripensare il sistema significa renderlo più efficiente e razionale, non vuol dire sguarnire interi territori. Si deve procedere con la giusta fermezza ma con la necessaria intelligenza».

– In molti ospedali mancano infermieri e medici. Il blocco del turnover nel settore pubblico, ovvero l’impossibilità di assumere sostituendo chi va in pensione, porta tante strutture sanitarie a lavorare in affanno perché sotto organico.

     «Mi attiverò per ottenere delle deroghe mirate. Così facendo potremo finalmente ridurreanche il precariato».

– La questione delle farmacie non è ancoradel tutto risolta...

     «Rispetto alle prime bozze del Decreto SalvaItalia, il Governo ha ritenuto alla fine che i farmaci di fascia C, quelli cioè a carico dei cittadini ma per i quali c’è bisogno di prescrizione, non potranno essere venduti fuori dalle farmacie. Abbiamo riconosciuto la principale richiesta avanzata dalla categoria. Entro fine aprile, il ministero della Salute, d’intesa con l’Agenzia nazionale del farmaco, dovrà redigere un elenco dei medicinali che hanno bisogno di una prescrizione medica e di quelli che ne sono esenti. Questi ultimi, i cosiddetti farmaci da banco o di automedicazione, potranno essere venduti in altri esercizi, come già accade oggi, sempre ovviamente con delle cautele, sotto il controllo di un farmacista. Una cosa è certa. A differenza di quel che succede in altri Paesi, in Italia il bisogno di ricetta è molto diffuso».

– Rimangono divergenze sul numero dellenuove farmacie da aprire...

     «Attualmente, in Italia, le farmacie sono 18 mila circa. Vogliamo offrire un servizio più allargato, anche all’interno dei grandi centri commerciali o delle stazioni ferroviarie. Per ottenere questo risultato abbiamo previsto un concorso straordinario, fissando certi criteri. Noi crediamo che, a conti fatti, le nuove farmacie saranno 5 mila in tutto».

– Federfarma dice che saranno 7 mila, un aumento a suo dire insostenibile.

     «Siamo pronti al confronto. Ci dimostri che ha ragione e noi valuteremo il da farsi. Non intendiamo aprire indiscriminatamente un numero esagerato di farmacie, vogliamo– questo sì – migliorare un servizio, togliendo rigidità al sistema».

Alberto Chiara
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