Guerrini: la famiglia che impresa

Sono una risorsa per il Paese. Ma gli artigiani dallo Stato hanno in cambio solo tasse e burocrazia. Parla Giorgio Guerrini, leader di Confartigianato.

24/09/2010
Giorgio Guerrini, sposato, tre figli, imprenditore, presidente di Confartigianato.
Giorgio Guerrini, sposato, tre figli, imprenditore, presidente di Confartigianato.

Per illustrare il suo sogno di rivoluzione sociale Giorgio Guerrini, presidente
di Confartigianato, parla di “big society all’italiana”. Il riferimento è al progetto del nuovo premier inglese David Cameron, che parte dalla necessità di tagliare drasticamente i disavanzi pubblici restituendo alla società molte competenze che lo Stato
si era andato assumendo nel tempo.
«Intendiamoci», premette Guerrini, «non partiamo certo da zero, da noi questo Terzo
settore esiste già e gli artigiani ne fanno parte. Il nostro mondo non ha mai tradito le sue
radici culturali e territoriali. Ma credo che ora tocchi allo Stato e al mercato riscoprirle,dopo l’abbuffata di liberismo degli ultimi decenni.
È l’unica cosa positiva di questa crisi».

Il gettito fiscale è diminuito. Non sembrano i tempi adatti per simili riproposizioni...

«Già. Aumenta il debito pubblico ma anche le necessità dei cittadini e delle imprese. Questa forbice, chi la riempie? Ma è proprio insistendo sui nostri modelli che possiamo
uscire da questa situazione».

A che punto è la pressione fiscale?
«La pressione fiscale è aumentata. Quella dei documenti ufficiali è al 43 per cento, quella
percepita, che tiene conto di un 20 per cento di sommerso nel Pil, è oltre il 50 per cento.
Noi abbiamo un socio occulto, lo Stato, che partecipa senza rischio alle nostre imprese
prendendosi metà del fatturato. Il sommerso, che non è solo lavoro nero, ma soprattutto
criminalità, vale intorno ai 250 miliardi. E così le tasse aumentano. Il rischio è che chi
non ce la fa a superare un’asticella che si alza sempre di più, poi passa sotto».

Per la verità, sembra proprio che gli artigiani nell’evadere le tasse facciano già la loro
parte...

«Noi l’evasione la condanniamo. E poi, mi lasci dire che i maggiori protagonisti dell’evasione in Italia sono altri. Non c’erano panettieri o idraulici a “scudare” i capitali all’estero.
Quanti sono i dipendenti pubblici che finiscono di lavorare il pomeriggio, quando lavorano,
e poi esercitano un’altra attività in nero? E le multinazionali che trasferiscono la sede all’estero per eludere le tasse sui bilanci? E gli insegnanti che danno ripetizioni
private? Non bisogna mai generalizzare o prendere una categoria come capro espiatorio.
Oltretutto, il meccanismo degli studi di settore ha aiutato le nostre imprese a uscire
dalla zona grigia».

È vero che nell’artigianato gli extracomunitari tolgono lavoro agli italiani?
«Spesso i nuovi protagonisti delle imprese artigiane sono extracomunitari. E questo è il
frutto di una cultura sbagliata di molte famiglie italiane, per le quali il percorso scolastico
dei figli era finalizzato a trovare un lavoro in ufficio. Molti di questi percorsi scolastici
hanno trovato un capolinea nei call center.
Un percorso artigianale avrebbe dato soddisfazioni maggiori, con la possibilità di diventare
imprenditori».

Tornando agli extracomunitari, rubano occasioni agli italiani?
«No. Gli extracomunitari riempiono vuoti lasciati dagli italiani. Ci sono dipendenti volonterosi e bravi che sono diventati titolari di aziende. Se rispettano le regole e se sono
capaci di stare nel mercato sono i benvenuti.
Noi dobbiamo contrastare con la massima determinazione le imprese che non rispettano
le regole e stanno fuori dal mercato, come molte imprese cinesi a Prato».

Il vostro mondo è composto in gran parte di aziende a conduzione familiare...

«È vero. Famiglia e territorio sono due punti di forza imprescindibili per il nostro mondo.
E infatti sul piano fiscale siamo sostenitori del quoziente familiare. Ma c’è anche una dimensione che spesso viene sottovalutata: il volontariato. Molti nostri iscritti non si fermano mai, quando hanno finito in azienda mettono a disposizione il loro mestiere, la
propria imprenditorialità, il proprio tempo e denaro nelle Onlus, nell’associazionismo, in
parrocchia, nelle Misericordie, nei servizi sociali del Comune. Questo valore aggiunto,
quest’energia positiva, questa laboriosità sociale dovrebbero essere meglio rappresentati.
Noi vorremmo entrare con più incisività in questo settore con le nostre esperienze e
le nostre reti sociali e finanziarie. Penso ai Confidi, che mettono in contatto il mondo
del credito con quello delle imprese, o alla sussidiarietà nel Welfare e nella Sanità. Le
mutue artigiane sono state smantellate, ma erano un esempio quasi millenario che funzionava».

Francesco Anfossi
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