29/04/2012
Il commissario Michele Spina.
Michele Spina è dirigente del commissariato di Scampia, il quartiere di Napoli che fa da sfondo al libro di Saviano Gomorra.
Le sette vele originarie (oggi tre sono state abbattute), simbolo e maledizione di quella periferia partenopea, sono un complesso di palazzoni progettato dall'architetto Franz Di Salvo a seguito della legge 167 del 1962 per la costruzione di case popolari.
Nei piani dell’attuale amministrazione è previsto il loro progressivo abbattimento e la sostituzione con edifici più vivibili e meglio gestibili anche da un punto di vista del decoro e della sicurezza urbana: benché a pochi passi dalle vele si trovino sia il municipio di Scampia sia il commissariato della Polizia, infatti, il territorio è stato a lungo la più grande centrale di spaccio a cielo aperto d’Europa.
Michele Spina mi accoglie davanti al suo commissariato. Arriva senza scorta e senza nessun clamore. Gli faccio molte domande sul suo lavoro di lotta alla criminalità, ma mi accorgo che ha voglia di raccontarmi anche di una realtà nascosta ai mass media: un tessuto sociale ricco di associazionismo e di molti cittadini che si schierano ormai apertamente dalla parte della legalità.
- Come nasce Scampia?
"Scampia nasce come quartiere negli anni Sessanta-Settanta. Prima era una zona di campagna molto bella, sia dal punto di vista paesaggistico che della coesione sociale. È al confine con il quartiere di Secondigliano, allora considerato una zona abbiente dove molti napoletani andavano in villeggiatura.
In quegli anni venne deciso di progettare degli edifici per decongestionare il centro della città. La scelta di costruire complessi così grandi e quindi difficilmente gestibili è stata, oggi possiamo dirlo, sbagliata; nelle intenzioni originarie, però, si trattava di un progetto innovativo, ispirato al funzionalismo.
Esso cercava inoltre di coniugare la forma avveniristica delle vele spiegate verso il futuro con la riproduzione della vita sociale del vicolo napoletano, consentendo alle persone di incontrarsi sui ballatoi che caratterizzano tutti gli edifici".
- Quando le cose cominciarono ad andar male?
"Con il terremoto del 1980, molti sfollati di classi sociali molto disagiate si concentrarono intorno a Scampia, creando una situazione esplosiva dal punto di vista sociale. Il commissariato di polizia venne creato solo nel 1997: oltre centomila persone si radicarono in un quartiere in cui lo Stato non era presente. In questo modo, la camorra ebbe gioco facile.
Non solo: con il tempo, questi palazzi vennero occupati in tutti i loro spazi, compresi ballatoi e scantinati, da molte più persone di quelle previste, determinando anche il degrado architettonico: diventava infatti impossibile anche la semplice ordinaria manutenzione. Oggi le Vele sono luogo di grandissimo degrado e povertà".
- Da un punto di vista della criminalità, che quadro ci puo fornire di Scampia?
"Scampia è conosciuto come il quartiere dello spaccio della droga, gestito dalla camorra. Da quattro anni dirigo il commissariato e quando ho iniziato ho trovato l’esistenza delle cosiddette "piazze di spaccio", cioè di luoghi come cortili interni o androni dei palazzi utilizzati dalla camorra per questa funzione: il loro accesso viene chiuso, sostituendo il normale portone con uno blindato senza chiave e bloccato dall’interno da staffe di ferro. In questo modo, all’arrivo della polizia, chi è all’interno per l’attività di spaccio può agevolmente fuggire. Nello stesso tempo, chi abita all’interno del palazzo è ostaggio della criminalità.
Attraverso una feritoia, lo spacciatore procede allo scambio droga-soldi".
- E quando arrivate voi poliziotti?
"Moltissime vedette, situate all’esterno, avvisano dell’arrivo delle forze dell’ordine con appositi segnali sonori. In questo periodo il segnale è urlare “vattenn’”, cioè vattene, scappa. Quando riusciamo a entrare nelle Vele non troviamo più nulla: lo spacciatore è riuscito a fuggire e la droga è stata nascosta in uno degli infiniti posti possibili. Esistono addirittura dei cassetti a scomparsa comandati elettronicamente, ad esempio negli scalini.
La vedetta, anche se fermata, è difficilmente imputabile, perché può giustificare in mille modi la ragione del suo grido. Il pusher, che in molti casi abita nel palazzo, dopo essersi disfatto dei soldi e della droga spesso scende le scale e ci incrocia durante il nostro blitz".
- Quali strategie adottate per contrastare questo sistema di spaccio?
"Il nostro obiettivo è spingere i camorristi sulla difensiva, fare in modo che siano loro a pensare a come difendersi e non viceversa.
A tale scopo, sono tre le strade che percorriamo. La prima è quella degli arresti continui: siamo infatti riusciti ad aumentare gli arresti in flagranza di reato sia degli spacciatori che delle vedette, fino a una media di una cattura al giorno per fenomeni legati allo spaccio. Ciò costringe la camorra a cercare, con sempre maggiore difficoltà, nuovo personale che deve essere pagato di più per il rischio più elevato che deve affrontare".
- E poi?
"In secondo luogo, ci sono tutte le complesse indagini sulle dinamiche dello spaccio. Strumenti chiave, in questo senso, sono le intercettazioni telefoniche e, da qualche tempo, anche piccole telecamere. Risulta sempre difficile trovare luoghi in cui piazzare gli apparecchi senza essere visti da qualche esponente della criminalità che abita all’interno dei palazzi; tuttavia, in una delle ultime operazioni, ripresa anche da RAI3
siamo riusciti a filmare ciò che avveniva in un androne, dietro il cancello blindato: abbiamo utilizzato una microtelecamera che ci ha permesso di arrestare 33 persone tra spacciatori e vedette.
Infine, la terza importante via che intraprendiamo è quella di eliminare almeno i luoghi fisici dello spaccio, quei cancelli e portoni che danno alle persone oneste il senso dell’illegalità e dell’assenza totale dello Stato. È inaccettabile che venga considerata come ordinaria quotidianità l’esistenza alla luce del sole di luoghi dedicati al commercio della droga; è inaccettabile che gli abitanti onesti di un palazzo considerino normale dover chiedere ogni volta il permesso per attraversare l’androne di casa propria".
Una panoramica delle Vele.
- Quali sono i risultati di questi suoi primi quattro anni?
"Siamo riusciti a chiudere molte delle principali piazze di spaccio, che si sono ridotte a quattro dalle venti iniziali. In realtà, però, in molti casi il commercio della droga si è solo spostato da Scampia verso altri territori fuori dal quartiere".
I balconi delle Vele, a Scampia.
- Che ruolo hanno le associazioni e le scuole di Scampia nel vostro lavoro?
"Il rapporto tra polizia e mondo associativo è migliorato moltissimo in questi anni e oggi esiste una forte collaborazione, fondamentale in alcune operazioni: penso ad esempio allo sportello anticamorra gestito dall'Associazione (R)esistenza presso il Municipio di Scampia, con cui collaboriamo attivamente. Le scuole, poi, rivestono un ruolo fondamentale nel processo formativo delle giovani generazioni: spesso andiamo a incontrare i ragazzi negli istituti. Il rapporto con loro, però, è difficile, perché i malavitosi trasmettono il messaggio che la camorra ti tutela e ti aiuta in tutti i casi di difficoltà. Tentano di dire che la camorra provvede a tutto ciò che lo Stato non fa: dal lavoro alla tutela sociale, legale ed economica in caso di arresto.
Noi invece cerchiamo di far capire che quella è una via perdente, una via che dà solo la certezza di vivere perennemente braccati, sempre sotto assedio delle forze dell’ordine".
- Vista anche la sproporzione di mezzi e risorse tra la camorra e le forze dell’ordine, non Le capita mai di pensare che la battaglia sia impossibile da vincere?
"Non possiamo arrenderci. Anche se in molti casi i risultati non sono immediati, dobbiamo sempre credere che questo sistema criminale possa essere fermato. E il nostro impegno sarà sempre quello di pensare a un’astuzia in più della camorra, per contribuire a rendere più libera la nostra società.
Certo, però, l’azione repressiva da sola non basta: servirebbero anche interventi di carattere sociale o strutturali, a partire dall’abbattimento delle Vele".
Andrea Ferrari