08/04/2013
Margaret Thatcher con il Cancelliere tedesco Helmut Kohl
Molti italiani lo hanno ripetuto spesso in questi anni: «Ah, se anche noi avessimo una Thatcher!». La "Lady di Ferro", come era stata soprannominata, è stata la prima e unica donna ad aver ricoperto la carica di Primo Ministro del Regno Unito restando in carica dal 1979 al 1990. Se n’è andata lunedì a Londra stroncata da un ictus. Da tempo soffriva di Alzheimer e non si faceva più vedere in pubblico. L’ultima apparizione risale al 2010 quando fu invitata a Downing Street da David Cameron.
Un’era politica, la sua, passata alla storia sotto il nome di "thatcherismo" e divenuta, in patria e all’estero, sinonimo di rivoluzione liberale, riforme incisive e radicali dello Stato sociale, flessibilità nel mercato del lavoro, ridimensionamento di caste e lobby (a cominciare da quella dei sindacati) e del loro potere di veto. «Ci vorrebbe una riforma thatcheriana dello Stato», è stato, non a caso, il leit-motiv ripetuto da molti politici di casa nostra negli anni travagliati e inconcludenti della Seconda Repubblica. «Margaret Thatcher ha salvato il nostro Paese», ha commentato, a caldo, il primo ministro britannico conservatore Cameron. «La sua eredità resterà non solo negli anni a venire, ma nei secoli».
Da subito, appena arrivata al potere, mostrò il suo piglio decisionista: con un lungo e durissimo braccio di ferro interno si scontrò con il sindacato dei minatori di Arthur Scargill (1984-1985) dove lei alla fine prevalse riuscendo a privatizzare le miniere di carbone, cuore del processo energetico britannico. Sul fronte esterno recuperò l'orgoglio nazionale (appannato, prima del suo arrivo a Downing Street, dalla tragica spedizione di Suez nel 1956) reagendo all'invasione delle Falkland ordinata dalla giunta militare argentina nel 1982. Il trionfo, a caro prezzo, nella guerra della Falkland-Malvinas fu la spinta propulsiva su cui costruì la sua carriera fino alla "caduta" nel 1990.
Il soprannome di "Iron Lady" le venne affibbiato non certo da suoi ammiratori ma dai suoi nemici, come ha spiegato Charles Moore in un ritratto pubblicato dal Wall Street Journal il 17 dicembre 2011: «Dopo essere diventata leader dei Conservatori britannici nel 1975, la Thatcher aprì una nuovo e controverso fronte nella Guerra Fredda con l’Unione Sovietica. Mise in discussione l’allora popolare idea di "deténte", distensione. Il comunismo sovietico, sosteneva la Thatcher, non può essere conciliato. Doveva essere rovesciato – rimettendo in sesto la forza militare difensiva della Nato e dando voce alla resistenza dei repressi nel blocco sovietico, promettendo loro la promessa della libertà occidentale. Non molti leader europei le davano ragione in Occidente all’epoca, ad eccezione di Ronald Reagan, all’epoca solo un ex-governatore con il sogno di correre per diventare presidente. Dopo che la Thatcher ebbe dato un paio di energici discorsi, il quotidiano dell’Armata Rossa "Stella Rossa" la cristallizzò come "The Iron Lady", la Lady di ferro. Così facendo, il giornale sovietico operava un paragone satirico con Otto Von Bismark, il "Cancelliere di ferro" della Germania del XIX secolo, dando di lei un’immagine rigida e severa. Ma Margaret Thatcher subito vide nell’insulto un’opportunità».
Lei, dal canto suo, amava schermirsi in questo modo: «Io non sono dura, sono terribilmente morbida. Ma non persisterò nell’esserlo». E il presidente francese Francois Mitterrand la descriveva così: «Occhi da Caligola e labbra da Marilyn Monroe».
Non ci saranno funerali di Stato ma solo esequie solenni con gli onori militari. È stata l’ultima volontà della Lady di Ferro. Andarsene facendo meno rumore possibile dopo una carriera politica che l'ha resa la donna più amata e detestata non solo in Gran Bretagna ma in tutto il mondo.
Antonio Sanfrancesco