03/07/2011
Il caporalmaggiore scelto Domenico Tuccillo, caduto in Afghanistan.
La morte del caporalmaggiore scelto Domenico Tuccillo, ucciso in Afghanistan (è il 39° soldato italiano a cadere dal 2004) da una mina fatta esplodere al passaggio del suo mezzo, è arrivata nel pieno della stagione più pericolosa. D'estate gli scontri si intensificano e al "fronte" arrivano tutti quei contadini afghani che combattono in cambio di un salario, quando i lavori nei campi sono conclusi.
Ecco dunque le sparatorie, gli ordigni piazzati lungo le strade, gli agguati, gli attacchi agli alberghi. E gli attentati agli ospedali: due in un mese, il 21 maggio a Kabul, con un bilancio di 6 morti e 23 feriti; il 27 giugno nel distretto di Azra, dove i morti sono stati almeno 30. Il tutto in un momento particolarmente delicato dal punto di vista politico, perché pochi giorni fa il presidente americano Obama ha annunciato il ritiro di 10 mila soldati, prima tappa di un ritiro più massiccio che dovrebbe seguire a breve, per concludersi nel 2014.
Nonostante il susseguirsi di notizie luttuose, però, da un punto di vista strettamente militare nel 2010 e nel 2011 sono stati fatti sensibili progressi. I talebani (chiamiamo così, per semplicità, l’insieme di bande criminali, trafficanti di droga e guerriglieri che si oppongono alle Autorità afghane e alla forza militare internazionale) sono rimasti all’offensiva dal 2005 a tutto il 2009, ma sono stati bloccati e poi parzialmente ricacciati dalla controffensiva americana dell’estate 2010, seguita all’incremento del contingente (più 30 mila soldati) deciso da Obama nel dicembre 2009.
Anche la formazione di forze dell’ordine e forze militari afghane procede di buon passo. Sono ormai stati arruolati e istruiti 260 mila uomini, che dovrebbero diventare 300 mila entro la fine dell’anno e 400 mila nel 2013.
Le rivalità internazionali
La partita, però, si gioca solo parzialmente entro i confini
dell’Afghanistan. Pesano molto, sulla situazione del Paese, le dinamiche
regionali. Per esempio, i rapporti ormai assai tesi tra Pakistan e
Usa. Il Governo pakistano è costretto a fare l’elastico: collabora con
gli Usa ma non può farne troppa mostra, sia per non irritare le frange
“critiche” dell’esercito e dei servizi segreti, sia per non offrire
argomenti alla propaganda dei musulmani radicali. Il Pakistan, però, ha
tutto l’interesse a che gli Usa restino in Afghanistan o, almeno, se ne
vadano solo dopo aver garantito la sua stabilizzazione: un Afghanistan
troppo turbolento o in preda alla guerra civile potrebbe dare il colpo
di grazia ai fragili equilibrii pakistani.
Il tutto mentre l’India, storica nemica del Pakistan, è da tempo buona amica dell’Iran, che
ha lungamente sostenuto nella battaglia per il nucleare e con cui
stringe relazioni commerciali sempre più intense (nel 2010 scambi per 14
miliardi di dollari, con un incremento di 1,4 miliardi sull’anno
prima).
Sulla regione c’è anche l’occhio della Russia e, forse, la mano
della Cina. Iran, Pakistan e India hanno a lungo accarezzato l’idea
dell’Ipi (Iran-Pakistan-India), un gasdotto che dovrebbe fornire la
rampante economia indiana di grosse dosi di gas naturale iraniano,
passando appunto per il Pakistan. Un progetto che non piace per nulla
agli Usa, che vedrebbero così vanificate le sanzioni economiche imposte
contro l’Iran. I costi e le pressioni americane hanno spinto l’India a
ritirarsi, ma Iran e Pakistan hanno deciso di andare avanti e di
coinvolgere la Cina nell’impresa.
Insomma, la solita sarabanda di interessi economici e politici inconciliabili o quasi. L’Afghanistan
rischia di diventare il “campo neutro” in cui si scaricano rivalità e
tensioni, rendendolo così instabile a prescindere dalla sua situazione
interna.
Fulvio Scaglione