Kabul, prove generali di rivolta

L'attacco dei talebani alla capitale è giudicato una sorta di "prova" per quando gli Usa lasceranno il Paese. Le mosse del presidente Karzai.

16/04/2012
Il presidente Karzai a una cerimonia presso l'accademia della polizia di Kabul (foto del servizio: Reuters).
Il presidente Karzai a una cerimonia presso l'accademia della polizia di Kabul (foto del servizio: Reuters).

A Kabul, si dice, è iniziata l'ennesima “primavera talebana”. O meglio, le prove generali del futuro assetto del Paese quando, fra meno di due anni, saranno evacuate le ultime forze Nato. La domenica del terrore viene rivendicata da entrambe le parti in causa come una schiacciante dimostrazione della propria forza: per i talebani è la prova che sono in grado di colpire come e quando vogliono; per il Governo, che le forze militari afghane possono benissimo difendersi da sole, e dunque non c'è piu' bisogno della presenza americana sul territorio.

Difficile, tuttavia, fare luce sul bilancio degli scontri. I terroristi avrebbero colpito simultaneamente sette aree della capitale e tre provincie. Erano armati di razzi lancia-granate, artiglieria pesante e giubbotti esplosivi. Hanno tenuto in scacco il Parlamento per diverse ore, attaccato il palazzo presidenziale costringendo Karzai alla fuga, preso di mira obiettivi americani, inglesi, russi, tedeschi, greci, turchi e canadesi, oltre alla Banca Mondiale.

Secondo le forze afghane 19 sarebbero i terroristi uccisi, ma visto che la maggior parte di loro indossava giubbotti imbottiti di esplosivo, non è chiaro quanti siano stati realmente abbattuti, e quanti si siano volontariamente immolati. Vero è che i rimbombi delle esplosioni si sono susseguiti per tutta la giornata a Kabul. Un solo militare afghano sarebbe rimasto ucciso.

Ma a parte il conteggio dei morti, la situazione resta difficile da decifrare. A poche ore dagli attacchi di domenica il presidente Karzai aveva annunciato la nomina del nuovo capo dell'Alto Consiglio di Pace: non un nome qualunque, bensì il figlio dell'ex-presidente Burhanuddin Rabbani, ultima speranza nelle trattative di pace con i terroristi, ucciso da un talebano suicida poco più di un anno fa nella sua casa di Kabul.

Secondo l'intelligence afghana, l'omicidio di Rabbani sarebbe stato organizzato grazie alla connivenza pakistana. Da mesi in molte delle provincie lungo la frontiera, è cresciuta la presenza di gruppi jihadisti pakistani, che esercitano forti pressioni sulla popolazione locale. Estorcono tasse per le provviste di armi e il mantenimento dell'organizzazione, impongono multe e punizioni corporali per chi infrange i codici talebani, che vanno dal numero massimo di pecore per la dote delle spose al divieto di ascoltare musica o masticare tabacco.

Dopo la morte di Rabbani, Karzai sembra aver capito che le chiavi della pace in Afghanistan sono in mani pakistane. Gli obbiettivi del presidente sono guidati più dal pragmatismo politico che da alti principi morali. Dal 2006, infatti, i talebani hanno sistematicamente fatto fuori i leader tribali della regione di Kandhar, tradizionale roccaforte del presidente. Le oltre 150 vittime cadute sotto i colpi dei terroristi hanno tagliato fuori Karzai da ogni possibilità di accordo con le comunità Pashtun, e fatto crollare il suo prestigio nell'area.

Nel disperato tentativo di riconquistare appoggi, Karzai si è lanciato alla ricerca di alleanze e accordi non esattamente trasparenti un po' con tutti, amici e nemici compresi. La nomina del figlio di Rabbani, per esempio, definito un “mellifluo diplomatico educato in Occidente”, doveva servire per tenere buona l'opposizione. Controbilanciata da quella di Karim Khurram, personaggio la cui vicinanza al Pakistan è nota e discussa, come segretario generale. Ma a giudicare dagli eventi di domenica scorsa, non è detto che quella del Presidente sia una poltica vincente. Al contrario, secondo fonti locali, potrebbe rivelarsi un vero disastro: “La nuova strada politica che Karzai ha scelto non distruggerà solo lui, ma l'intero paese. E' una specie di suicidio annunciato”. 

Marta Franceschini
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