12/07/2011
Agnese Moro e Franco Bonisoli (foto Annachiara Valle).
«Ci vuole molto tempo per trasformare la rabbia e il rancore in qualcosa di diverso. Ma è necessario perché questi sentimenti ti tengono inchiodata continuamente, diventano padroni della tua vita e ti impediscono di andare avanti». Agnese Moro risponde con semplicità alle domande di Nando dalla Chiesa.
Nella cornice di Palazzo Tursi, a Genova, è seduta accanto a Franco Bonisoli. L’ex brigatista trattiene a stento la commozione, mentre la figlia del leader democristiano racconta del loro primo incontro, un anno fa a Roma. «È stato così gentile da venire a trovarmi a casa mia, insieme con altre persone, persone che per vocazione e per mestiere sono impegnate nella giustizia riparativa. Quando arrivi al punto da voler conoscere chi ha compiuto quelle violenze non sai cosa dire, per questo sono importanti le persone che ti stanno accanto. Quando Franco ha messo piede in casa mia ho capito che quello era un momento di giustizia, che riparava qualcosa che si era rotto. Per molti anni non sono riuscita a leggere neanche una riga di ciò che scriveva mio padre, perché aveva un modo di scrivere che lo rendeva vivo nelle sue parole e per me era uno strazio che non riuscivo ad affrontare. Adesso incontrare gli ex, stare insieme a loro mi restituisce qualcosa di mio padre perché sono sicura che lui non vorrebbe che pagassero per sempre. Da giurista si è sempre detto contrario anche all’ergastolo e si è impegnato per una funzione rieducativa della pena. Inoltre devo anche dire che da cristiana, anche quando non vuoi ascoltare quelle parole, c’è sempre una vocina che ti sussurra “Ama i tuoi nemici”, che nel nostro caso sono stati tanti. Sono stati loro che materialmente lo hanno rapito e ucciso, ma sono stati anche i giornali che hanno subito dato voce alla linea della fermezza, sono stati pezzi di Stato, i partiti, gli intellettuali che hanno potuto dire dai comodi salotti di casa loro cose terribili su mio padre».
Interrotta appena dalle domande garbate, ma senza sconti, di Nando dalla Chiesa, Agnese Moro ha chiamato in causa anche il Paese «che si dovrebbe impegnare a capire ciò che è successo per poter mettere il passato a posto, alle nostre spalle. Non per dimenticarlo, ma per essere padroni di seguitare la vita. Andrebbero rimessi insieme tutti i pezzi che hanno avuto parte non solo nella vicenda di mio padre, ma nei fatti di quegli anni. Certo con dei distinguo: chi ha ucciso mio padre è chi ha premuto il grilletto, ma non tolgo responsabilità a chi ha guardato morire un uomo innocente senza fare nulla».
Bonisoli ascolta. Quando interviene, con la voce rotta dall’emozione lo fa per spiegare «il peso che sento forte. Tanto più in una città come Genova. Non ho partecipato direttamente ad azioni di sangue, ma facendo parte della direzione strategica delle Brigate Rosse mi sento pienamente responsabile di ciò che è accaduto qui. Vedere il calore con il quale oggi la città mi accoglie mi fa sentire ancora più in imbarazzo». Sollecitato dalle domande Bonisoli racconta l’incontro con don Salvatore Bussu, cappellano nel carcere speciale di Nuovo, il ruolo del cardinal Martini nel far riscoprire il valore della dignità umana, l’impegno di don Vittorio Chiari, di don Luigi Melesi.
«C’è un tempo in cui la coscienza suona il campanello e ti chiede il conto», spiega «ed è allora che ritrovi la tua umanità e che, uscito dalle ideologie che ci avevano annebbiato, capisci che eravamo diventati, con la violenza, l’antitesi di quei valori di giustizia che volevamo affermare. Essere qui, sperimentare la possibilità di un dialogo in un momento in cui sembra che ci si debba scontrare su tutto credo sia un grande valore da poter trasmettere alle nuove generazioni. Con i salesiani di Arese», racconta, «avevamo cominciato un lavoro già da detenuti con alcuni ragazzi a rischio. Noi rappresentavamo per loro il modello dei duri che volevano diventare. Sentirsi dire da noi quanto fosse sbagliata quella strada sortiva più effetto delle parole degli educatori». «Anche per questo è importante affrontare quegli anni insieme», dice ancora Agnese Moro, «per non restare impigliati in un passato che non abbiamo ancora capito fino in fondo e che pesa sul nostro Paese».
Sullo sfondo Aldo Moro, «il vero giusto che accompagna questa serata», sottolinea Nando dalla Chiesa. In una settimana che vede affrontare, dal 7 al 14 luglio, temi che vanno dalla lotta alla tratta di essere umani alle vicende cecene, che vede protagonisti testimoni come la figlia di Anna Politkovskaya, il dissidente cinese Han Dongfang, la candidata al Nobel per la pace 2011 Yolande Mukagasana, il dibattito fra Agnese Moro e Franco Bonisoli trova giustificazione nello stesso titolo dell’incontro “Cercando la giustizia più in là”. «È l’eredità che lascia mio padre», conclude Agnese Moro, «quella di una ricomposizione. Proprio inaugurando ad Arese, dove oggi ci sono i salesiani, l’allora istituto di pena per minori, mio padre, rivolgendosi ai ragazzi disse loro più volte “i vostri occhi buoni”. Mio padre era convinto che in ogni persona ci fosse del buono. Cercare la giustizia oltre la condanna significa proprio cercare quell’umanità di cui tutti siamo portatori».
Annachiara Valle