17/05/2013
Oggi, come ogni 17 maggio a partire dal 2007, si celebra in Europa la Giornata contro l'Omofobia. A livello mondiale la Giornata si celebra invece dal 17 maggio 2005, data che segnava il quindicesimo anniversario della rimozione dell'omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione ufficialmente adottata dall'Organizzazione mondiale della Sanità.
Si può ancora, oggi, pensare che gli omosessuali siano tutti pazzi? O, come il termine "omofobia" indica, avere paura delle persone omosessuali? Possiamo tollerare che le persone omosessuali siano insultate, aggredite, discriminate? La risposta, scontata, è un "no" tondo e sonoro. Il che, però, può farci sentire meglio ma non illuderci che tutti i problemi siano risolti.
Il primo di questi problemi irrisolti è la confusione che spesso (e, non di rado, volontariamente) si fa tra l'omofobia e i mille, legittimi e anzi doverosi dubbi che spuntano quando la questione dei "diritti" da culturale pretende (legittimamente, ma non è questo il punto) di diventare anche politica e sociale. Perché è fin troppo facile spacciare una cosa per l'altra e far danni, magari anche pensando di far bene.
Lo si è visto bene in Francia dove, domenica 26, si svolgerà l'ennesima manifestazione contro la legge approvata in fretta e furia dal Parlamento su proposta del Governo ispirato dal presidente François Hollande. Il provvedimento (che equipara le nozze gay alle nozze tra uomo e donna, e concede alle coppie omosessuali la possibilità, anzi il "diritto" di adottare) ha ottenuto una larga maggioranza in Parlamento ma palesemente non corrisponde al sentire del Paese, che si è spaccato in due in modo trasversale: contro la legge sono scesi e scenderanno in strada non solo i cattolici ma anche gli ebrei e i musulmani; non solo gli elettori della destra ma anche quelli della sinistra.
La domanda, in questi casi, è sempre la stessa: stiamo parlando di un'esigenza della collettività o del desiderio di una attiva e organizzata minoranza? La nostra stima per Laura Boldrini, presidente della Camera, è più che nota. Ma anche a lei chiederemmo oggi, nella Giornata contro l'Omofobia, se davvero "gli omosessuali devono veder
riconosciute giuridicamente le loro unioni anche in Italia. Il
riconoscimento è necessario anche perché questo avviene in 19 Paesi
europei. E' l'Europa che ce lo chiede, non solo quindi in tema di
rispetto di bilanci, ma sul versante dei diritti. Siamo uguali perché
abbiamo gli stessi diritti"?
Ma soprattutto: davvero questa è una priorità per una politica, quella italiana, che magari non pensa alle famiglie eventualmente immaginabili ma intanto concretamente mortifica le famiglie che ci sono, quelle che con qualche spregio vengono ormai chiamate "tradizionali" e sulle quali si basa, almeno in Italia, tutto ma proprio tutto ciò che tiene a galla il sistema?
Nel 2012 il potere d'acquisto delle famiglie è crollato del 4,8% rispetto al 2011. La loro propensione al risparmio si è ridotta all'8,2%, il dato più basso da quando (1990) l'Istat compie la rilevazione. Intanto i consumi crollano, l'economia rallenta, quasi il 40% dei giovani sotto i 24 anni non trova lavoro. Il che vuol dire che, mentre ci preoccupiamo di qualche migliaio di persone omosessuali che (forse) vogliono sposarsi, a milioni di giovani uomini e donne viene nei fatti negato il diritto a formare prima una coppia e poi una famiglia, sulla base di una discriminazione economica contro cui la politica ha il dovere, non il diritto, di occuparsi.
E quanto a diritti e doveri, ecco un altro aspetto su cui riflettere. Se generare, crescere, educare, istruire e poi lanciare le future generazioni ha un valore anche sociale (e ci stupirebbe che qualcuno pensasse il contrario), allora bisogna riconoscere alle famiglie "tradizionali" (che proprio quello fanno, giorno dopo giorno) un giusto compenso. Oggi, al contrario, tutto le penalizza, a cominciare dalla fiscalità, cioè dal loro contratto primario con lo Stato.
Fulvio Scaglione